Tradizione e modernità

“La memoria perduta”. Musica di Flavio Emilio Scogna su testo di Gina Lagorio. Roma, Teatro Brancaccio. “L’elisir d’amore”. Musica di G.Donizetti su testo di F.Romani. Teatro dell’Opera. Commissionata nel ’91, la prima assoluta del lavoro di Scogna è un quasi due ore di spettacolo visionario e hollywoodiano che, grazie all’allestimento “globale” di Pier’Alli (regia scene costumi), gioca sul pubblico un indubbio fascino multimediale. Disegni luminosi sulle scene divise in grandi quadri, attori che entrano ed escono dal palco verso il pubblico, masse corali dialoganti drammaticamente – il coro molto ben guidato da Andrea Giorgi – attualizzano in due atti la tragedia ricorrente della “memoria perduta”, sullo sfondo delle immigrazioni albanesi: specchio di ogni immigrazione e del suo (inevitabile?) conflitto col potere, sia politico, religioso o mediatico. La musica di Scogna, espressionista e policromatica – resa bene dall’orchestra – gioca forse la sua carta migliore nel sapiente dosaggio dei cori intersecantesi: vera espressione di un’umanità dolente. Nel resto, l’attenzione al suono-parola pare cerebrale, forse condizionata dal libretto di Gina Lagorio. Il quale, nel suo procedere per aforismi, non nasconde un pregiudizio ideologico di fondo, con bordate piuttosto logore ormai: più che amore e speranza, resta nello spettatore un pessimismo conclusivo. Lo spettacolo comunque regge bene e piace a molti. Anche per la prestazione degli interpreti, Luca Canonici, un Uri molto espressivo, e Mina Tasca nell’impervia parte di Vera, oltre alla direzione appassionata dell’autore. Forse, un’opportuna revisione potrebbe apportare alla nuova opera una vitalità che la renderebbe maggiormente apprezzabile. Con l’Elisir, grande repertorio, favola dolce e spontanea dell’amor giovane. Donizetti ha 180 anni, ma il direttore Corrado Rovaris può ancora scoprire ricchezze strumentali (nei legni e ottoni) d’incredibile finezza: e le sottolinea, malgrado qualche sbavatura nelle “entrate”, nei tempi e nel rapporto col palco. Dove agisce una bella compagnia: Elizabeth Norberg- Schulz (Adina), Ildebrando D’Arcangelo (un Dulcamara solare); Vittorio Grigolo (Nemorino simpatico e patetico, più ancora di Donizetti, nella “furtiva lagrima, comunque splendida promessa) e il coro spigliato. Allestimento di garbata semplicità agreste anni Cinquanta (regia Fabio Sparvoli, scene Mauro Carosi, costumi Odette Nicoletti) con gag e piroette da “musical” serenamente divertenti. Padrona la musica, com’è giusto; e il pubblico, per cui Donizetti ha messo solo note “giuste”, quelle dell’ispirazione. Le stagioni di Haydn Con un oratorio profano, vero canto all’armonia della creazione, l’Accademia Filarmonica Romana ha aperto l’anno musicale.Ottima scelta, in tempi di dissesti ecologici, riflettere musicalmente sull’unità armoniosa del creato nell’alternarsi delle stagioni. La Freiburger Barockorchester e il Rias Kammerchor, guidati da René Jacobs, disattento al “bel gesto” ma attentissimo all’interpretazione, danno un risultato di alta qualità: abituati al lavoro d’insieme, senza il nostrano individualismo “da solisti”, ci immergono in un suono fluente, duttile nei tempi e negli impasti strumentali, attento alle innovazioni haydiane – il “temporale estivo” espresso dal coro e non dalla sola orchestra, come in Vivaldi o Beethoven – dandoci la realtà di una fede tranquilla, attenta alla vita operosa della natura. Splendido il coro e il terzetto di solisti. Successo ben meritato ed un pubblico felice.

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