Tra novità e tradizione

Le diverse e acute crisi globalizzate cui assistiamo sono in gran parte determinate dalle naturali tensioni tra novità e tradizione. Da che mondo è mondo – basti rileggere il racconto biblico del cammino del popolo eletto verso la terra promessa -, il passo verso ciò che è sconosciuto incute timore, e non poco. Semplificando un po’, si arriva fatalmente al confronto, se non allo scontro, tra coloro che si sbilanciano per un’assoluta fedeltà al passato e il partito di chi invece ritiene che il vecchio debba essere gettato alle ortiche. Ma quando si resta ancorati alla nostalgia del tempo che fu si rischia l’emarginazione ad opera di chi corre più velocemente: Una parte di lui è vecchia, un’altra non è ancora nata, scriveva Canetti. Viceversa, se si punta tutto sulla novità a tutti i costi – la tradizione demolita, direbbe Lorenz -, si rischia di ritrovarsi rapidamente appassiti, nonostante il fiore bello e lucente, per mancanza di radici. Guardiamo alla crisi economica mondiale che si fa sentire nel nostro mondo opulento (p. 20) e ben più drammaticamente in quello povero: le tensioni nascono in primo luogo dall’emergere di soggetti nuovi (Cina e India in testa, senza dimenticare Brasile e Indonesia) in un contesto dominato da soggetti vecchi (Europa, ovviamente, ma anche Usa e Giappone). Le forti tensioni che si registrano sui mercati delle materie prime e delle fonti energetiche sono determinate in primo luogo dai consumi di questi nuovi soggetti. Volgiamo lo sguardo, egualmente, all’ennesima crisi di nervi che sembra far sprofondare l’Unione europea in un vuoto di prospettive (p. 18). L’arrivo dei nuovi Paesi dell’Est ha scosso le certezze dei vecchi dell’Ovest. Analogamente si potrebbe affrontare la nuova crisi della politica italiana (p. 23). E via dicendo. Dedichiamo la copertina di questo numero all’inizio dell’anno paolino, che ci ricorda l’apostolo delle genti (p. 24). Dopo duemila anni può ancora esserci di aiuto. Perché? Ricordandoci il necessario equilibrio tra novità e tradizione. In effetti, ebreo tra i più legati alla Legge, la tradizione più tradizionale, codificata e immutabile, seppe rendere universale il messaggio rivoluzionario di Gesù, proponendolo come compimento della Legge. La salvezza non era più riservata unicamente al popolo ebraico, ma era finalmente disponibile per tutti. Paolo coniugò sapientemente novità e tradizione. Nei suoi scritti si può cogliere una via pratica, semplice e geniale, per non impantanarsi nella tensione tra i due opposti. Dice l’apostolo: Mi sono fatto tutto a tutti. Chiara Lubich ha ripreso questa frase inventando un prezioso e fortunato neologismo: Farsi uno. Che vuol dire mettersi nella pelle dell’altro, immedesimarsi in lui, saper cogliere e fare propri, per quanto possibile, i suoi desideri e le sue aspettative, i suoi ideali. È uno sforzo, certo, ma è anche un guadagno per la persona e per la comunità di cui si fa parte: nel rispetto vero e nell’ascolto, se possibile reciproci, si guadagna tempo, si trovano soluzioni condivise, si riescono a risolvere crisi altrimenti inestricabili. E allora la tensione tra novità e tradizione si risolve nel trovare insieme la strada per essere fedeli gli uni e gli altri alla tradizione, apportando gli uni e gli altri le necessarie attualizzazioni, dovute al mutato contesto storico e culturale nel quale si vive. Farsi uno vale in ogni campo dell’agire umano, come ci confermano innumerevoli esempi. La politica? Oggi si riparla con insistenza dell’eredità di Alcide De Gasperi, a destra e a sinistra, esaltando la sua arte d’ascoltare, capire e decidere. L’economia? Ricorre il primo centenario di Adriano Olivetti, imprenditore illuminato che seppe far soldi, facendosi amare dagli operai. Il giornalismo? Si continua a prendere come modello Ryszard Kapus´cin´ski, colui che cavava le notizie dai fatti e, soprattutto, dall’ascolto. E potrei continuare a lungo. Farsi uno è certamente un modo per essere uniti nell’affrontare le emergenze, nel cercare soluzioni per qualsiasi crisi. È forse questa la prima e principale speranza nell’ondivago tempo d’oggi.

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