Torna di scena la vecchia politica

Il confronto politico entra nel vivo e le frecciate tra i differenti leader politici si moltiplicano: è un "tutti contro tutti" che non lascia fuori quasi nessuno, da Ingroia a Grillo, da Monti a Berlusconi. Ma una politica fatta di rispetto è ancora possibile?
antonio ingroia

Fuoco alle polveri. La campagna elettorale, appena partita, si è già incattivita. Avevamo auspicato un confronto sereno, dialettico ma costruttivo, incentrato soprattutto sui contenuti (chiari) e sui temi emergenziali (concreti) del Paese. Sono tornati alla ribalta, purtroppo, i vecchi moduli: tutti contro tutti, e un lessico politico inaccettabile.

Ingroia (nella foto), fa appena in tempo ad appendere la toga al chiodo e a candidarsi a palazzo Chigi, con il simbolo di "Rivoluzione civile", e subito inizia a sparare a zero contro Monti, Bersani e Berlusconi contemporaneamente. A Bersani manda a dire: «Non vuole eliminare mafia e corruzione» e lancia frecce al curaro persino a Grasso, il procuratore nazionale antimafia candidatosi con il Pd: «venne scelto da Berlusconi in virtù di una legge con cui venne escluso Caselli, colpevole di aver fatto processi sui rapporti tra mafia e politica».

Le repliche non si fanno attendere e una valanga di critiche piove sull’ex magistrato "arancione" da parte di Pdl, Pd e anche dal Movimento 5 stelle. Grillo, al quale Ingroia aveva rivolto un invito ad un solidale confronto, ha subito chiuso la partita: «Ingroia è solo una foglia di fico per riciclare vecchi partiti».


Berlusconi su Monti: «è un leaderino; come tutti i professori, guarda la realtà dal buco della serratura perché ha uno stipendio sicuro e non conosce le difficoltà che ha un’impresa».


Poi la sorpresa che non ti aspetti. Persino Monti – accreditato (e lodato) per il suo aplomb e la sua sobrietà – si è lasciato andare a battute infelici, come quella nei confronti dell’ex-ministro Brunetta («sta portando, con l’autorevolezza di un professore di una certa statura accademica, il Pdl su posizioni piuttosto estreme e settarie») e l’altra, con la quale ha chiesto a Bersani di «silenziare Fassina e la Cgil». Che succede al professore? Vogliamo solo sperare che non sia stato qualche illuminato consigliere della comunicazione (spin-doctor) a suggerire a Monti una tale metamorfosi, «perché é così che si fa politica». Con il rischio di offrire alibi agli avversari, le cui risposte non si sono fatte attendere. Di pari tenore. Brunetta: «Con le sue parole Monti svela la sua natura più profonda, che è quella del tecnocrate autoritario, disinformato e pasticcione»; Fioroni per il Pd: «noi non silenzieremo nessuno».

Il politically correct paga. Chi l’ha detto che il consenso, in politica, cresca in proporzione all’aggressività dimostrata dai candidati nei confronti degli avversari? Vi racconto una storia che dimostra il contrario. Vera ed emblematica. La Corea del Sud è una repubblica presidenziale. In Parlamento (l’Assemblea nazionale monocamerale), la dinamica maggioranza-opposizione si caratterizza per una forte conflittualità, che travalica l’ordinaria dialettica democratica e la legittima differenza di visioni, giungendo sovente a modalità rissose di confronto (non solo verbali).

In più di una occasione le immagini di scontri violenti durante le sedute parlamentari hanno fatto il giro del mondo. All’interno dell'Assemblea nazionale, da alcuni anni, si è costituito un gruppo di ricerca parlamentare – il Political Forum for Unity – che ha scelto di far propria la categoria politica della fraternità. Composto da una trentina di deputati (di diversi partiti, di maggioranza e di opposizione, ed anche di differenti riferimenti culturali/religiosi) il Forum si è fatto promotore di una “campagna per la purificazione del linguaggio politico” in Parlamento, che ha incontrato un grande consenso nel Paese. Dall’esame dei resoconti dei dibattiti parlamentari, viene stilata una graduatoria e annualmente il Parlamento conferisce un premio al deputato che ha utilizzato, nei suoi interventi, il linguaggio più rispettoso nei confronti degli avversari.


Vi fa sorridere? Vi sembra banale? Ebbene, lo scorso 19 dicembre in Corea del Sud si sono svolte le elezioni presidenziali. L’ha spuntata la candidata del partito al governo, Park Geun-hee. Risultato straordinario, non solo perché è la prima donna diventata capo di Stato della Corea del Sud, ma anche perché Park Geun-hee, due anni fa, aveva ricevuto dal Parlamento il premio della "campagna per la purificazione del linguaggio politico". E gli elettori sudcoreani hanno dimostrato di gradire (e premiare) il politically correct.

L’auspicio. Tornando in Italia, anche il cardinale Angelo Bagnasco ha stigmatizzato il nervosismo che sta caratterizzando l’avvio della campagna elettorale nel nostro Paese, auspicando che diventi «più costruttiva e rispettosa delle posizioni, pur dentro la dialettica, che è giusta».
Ce lo auguriamo anche noi.

 

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