Torino, capitale della fraternità

L'ostensione è un'occasione per lasciarsi affascinare da Torino: capitale del barocco e regina del gusto. Ma anche capitale della fraternità.
Torino

Se vuoi conoscere una città, devi scoprire qual è il suo cuore. Quello che pulsa all’unisono col tuo. Solo quando l’hai scoperto la città diventa casa, e in essa ti senti a tuo agio. Non è una cosa scontata. C’è chi il cuore della città lo trova in un edificio antico o in un quadro appeso in un museo, in un angolo pittoresco o nel frastuono d’un locale, nel brusio d’un ospedale o nella voce d’un poeta, in un sorriso o nella penombra d’una chiesa.

Ora, vorrei portarvi a scoprire qual è il cuore di Torino che batte all’unisono con quello di diverse persone che formano la comunità del focolare, in questa città sobria ed elegante, quasi una regina incoronata dallo scintillante diadema delle Alpi.

 

Un evento d’eccezione

 

Non ci andiamo subito dritto, al cuore. Perché non si fa mai così. È meglio arrivarci per gradi, con giri attorno che indugiano sulla meta. Qui però, altro che indugi! S’è obbligati a iniziare subito con un botto. Perché proprio in questi giorni, dal 10 aprile al 23 maggio, si tiene l’ostensione della Sindone: il lenzuolo funebre nel quale è impressa in modo così misterioso l’immagine d’un uomo che ha subìto l’orrendo supplizio della crocifissione. Un telo che narra la stessa storia dei Vangeli, che ne è quasi lo specchio. E che, quando te lo trovi di fronte, ti fa accapponare la pelle e traballare l’anima.

Su di esso si dibatte da tempo: è un manufatto o una reliquia? Contiene l’immagine di Gesù o quella d’un uomo che ha subìto sofferenze simili? In ogni caso, guardando i segni delle ferite mortali impressi sul telo, il pensiero del cristiano non può che andare al Dio che s’è fatto uomo. Che ha voluto confondersi tra gli uomini, per avvicinarli a sé. Questa divina “confusione” – è Dio o è un uomo? – continua a rimanere impressa nel telo di Torino, e sembra riluttante a svelare il suo mistero. Forse anche per questo la Sindone sta bene di casa a Torino: perché il vero torinese è un po’ così, preferisce non dire troppo di sé stesso, ma lasciar parlare i fatti. Se qualcuno vuole fraintendere, libero di farlo, la verità se ne sta anche bene dentro al cuore, senza bisogno di sbandierarla in giro.

L’ostensione si tiene nel Duomo di San Giovanni Battista, il più importante monumento rinascimentale della città, nel cuore dell’antica cittadella romana di cui restano le vestigia delle Porte Palatine. È la prima occasione pubblica di esposizione dopo il restauro del 2002 che ha portato alla rimozione di lembi di tessuto bruciato nell’incendio di Chambéry del 1532. Per questo eccezionale evento Torino si prepara ad accogliere ben 2 milioni di visitatori.

 

Non solo auto

 

Usciti dal Duomo, si hanno due scelte: o immergersi nella confusione del mercato di Porta Palazzo, una specie di suq piemontese-mediterraneo-asiatico-afro-mediorientale, in cui si trova un po’ di tutto; o girare verso piazza Castello, per un tuffo nel barocco: lì c’è il Palazzo Reale, il Palazzo Madama e il Palazzo Carignano, con la squisita sala, come una pregiatissima bomboniera, del primo Parlamento italiano. Dalla piazza ammicca anche la cupola del Guarini, quella della Sindone, ancora in restauro dopo l’incendio del 1997. Poi ci si può rinchiudere in un elegante bar sotto i portici, per una sostanziosa merenda con cioccolata calda, che ti scalda dentro quando fa freddo; oppure ci si può lasciar travolgere da un sontuoso pranzo torinese: dove si comincia con la carrellata d’antipasti (immancabili le acciughe al verde e i tomini), si familiarizza col rumore dei grissini spezzettati, si continua con gli agnolotti al sugo d’arrosto o con i tajarin, e si può finire col bollito, il fritto misto, oppure l’impegnativa alternativa della bagna caoda. Il tutto accarezzato da un corroborante rosso piemontese. Abbondante, inutile dirlo. Torino, ex capitale d’Italia, continua a rimanere capitale del gusto. E poi i suoi cittadini ci tengono a dirlo: la laboriosa Torino non è solo la città del Risorgimento e dell’industria dell’auto: è casa di tanta arte e cultura, qui è nato il cinema italiano, qui ha fatto i primi passi verso il cielo l’aeronautica del Belpaese.

 

Inizia un’avventura

 

Camminando tra le vie del centro, si finisce in via Santa Chiara. Ovviamente, lo capite… vi sto conducendo un po’ alla volta verso il cuore. In quella via, nel 1949, abitava un avvocato, responsabile della Dc di Torino, all’epoca assai deluso dell’esperienza politica nella quale s’era calorosamente impegnato. Si definiva un “don Chisciotte” impegnato nell’inutile lotta contro i mulini a vento. Si chiamava Vittorio Sabbione.

Un giorno un amico gli presenta Ginetta Calliari, che gli racconta dell’Ideale dell’unità da poco iniziato a Trento da Chiara Lubich. Vittorio capisce al volo che si tratta di vita autentica, un po’ come quella dei primi cristiani. Gli piace. S’appassiona, come sa appassionarsi un torinese. Vittorio ne parla entusiasta ad alcuni amici. Pochi mesi dopo Ginetta torna a Torino per il primo incontro ufficiale del movimento. Ci sono venti persone, tra cui un certo Guido Brini, di 23 anni, esuberante sindacalista Cgil, che dopo l’incontro trascina per braccetto Ginetta a una piola cantando “O bella ciao!”. È il suo modo torinese di dire che è stato toccato dal carisma di Chiara. Da Vittorio e Guido, due persone così diverse prese il via la storia del Movimento dei focolari a Torino.

Altri s’infiammarono a quell’ideale di vita, si unirono le prime famiglie. Quel gruppetto si riuniva per la messa nella stupenda chiesa barocca della Consolata così cara ai torinesi – un vero gioiello d’arte e di spiritualità – e poi nelle case, in via Rossini, in Corso Dante, in via San Domenico, in via Capelli. Una comunità che, oltre a far crescere l’amore fraterno al suo interno, cercava d’andare al sodo nell’amare chi incontrava, con le braccia e con i fatti, più che con le parole. Perché, se una caratteristica può segnare Torino, anche nella storia del Focolare, è proprio quella della solidità. Com’è nella tradizione dei suoi grandi santi, don Bosco, il Cottolengo, Cafasso, Frassati; e dei suoi nuovi fermenti, come L’arsenale della pace di Ernesto Olivero o il Gruppo Abele di don Ciotti.

 

Un’avventura che continua

 

Da quello storico incontro del ’49, la comunità del Focolare s’è sviluppata. Oggi sono alcune migliaia le persone che continuano ad imbastire svariati fili d’amore autentico nella trama della città. Uno di questi fili è la continuativa esperienza di fraternità vissuta nella parrocchia di Sant’Agostino, nel centro storico, a due passi dal mercato di Porta Palazzo. In quella zona convivono gente d’estrazione sociale medio-alta e famiglie che versano in grave povertà. Molti di essi sono immigrati. Lì alcune persone dei Focolari hanno pensato di ripetere l’esperienza di Chiara e delle prime focolarine a Trento, quando “facevano il fagotto” dei vestiti a cui potevano rinunciare e li davano ai poveri. È iniziato così a Sant’Agostino un susseguirsi d’arrivi di scatoloni pieni di indumenti, di scarpe, di giocattoli, di passeggini, di suppellettili di cucina. Durante la settimana tanti volontari e volontarie s’avvicendano fedelmente per ordinare quanto è arrivato e distribuirlo poi con razionalità, ogni giovedì mattina.

 

A pochi passi dal mercato di Porta Palazzo, c’è l’edificio del Comune. Oramai lo capite… Stiamo arrivando lì, al cuore. Nel Palazzo del Comune, infatti, è conservato il Registro d’oro della città. Sfogliandolo si può trovare questa frase: «Auguro a Torino, di diventare la Capitale della fraternità». L’ha scritta Chiara Lubich, il 2 giugno 2002, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria. Con quella frase Chiara faceva intravedere all’antica capitale sabauda, un nuovo orizzonte. Le poneva di fronte una nuova, altissima sfida. Che qui, la comunità del Movimento dei focolari, ha voluto cogliere. Riconoscendo in quelle parole il cuore pulsante della città, le vuole tenere strette, come sigillo sul cuore. E le vuol mettere in pratica con le braccia. Da torinesi.

 

 

Sindone, un telo di domande

 

È la decima ostensione, la prima avvenne nel 1578. Sono già più di un milione e 400 mila le persone prenotate per la visita; ne sono attese almeno un milione e 800 mila. Le previsioni più ottimistiche parlano di due milioni e mezzo di pellegrini, così come avvenne nell’ostensione del 1998 (nel 2000 furono invece un milione e mezzo). Inoltre ci sarà la novità delle immagini 3D, che permettono di vedere la Sindone più da vicino e con maggior dettagli.

Torino come vive l’evento? La città non è riempita di dichiarazioni di “passione” come per le Olimpiadi invernali. Ci sono pochi cartelloni che segnalano l’evento. Sembra prevalga quel sottotono così tipico di Torino, segnato dalle due anime della città, quella laica e quella religiosa, così tenaci, che a volte vanno a braccetto, a volte si snobbano a vicenda, ma mai con toni appariscenti.

Un sottotono che si può presto catalogare come indifferenza. La realtà è un po’ diversa. La si può comprendere dalle parole del cardinal Severino Paletto, arcivescovo di Torino: «L’ostensione è essenzialmente un evento spirituale e religioso e non commerciale o turistico». È volutamente «un’opportunità per tutti di migliorarsi, di far germogliare la fede ascoltando il messaggio della sofferenza di Dio e dell’uomo».

Non è un’occasione per alimentare o incrementare i fatturati del turismo cittadino. È un momento di intima riflessione, di preghiera, di condivisione. Un momento assai raro nella nostra civiltà così mediaticamente aggressiva. Un momento, quindi, da non perdere.

 

La storia certa della Sindone risale al 1353 quando il cavaliere Geoffroy de Charny depose il telo nella chiesa del suo feudo di Lirey in Francia. Dal 1578 la Sindone è conservata a Torino. La Chiesa non si esprime ufficialmente sulla questione dell’autenticità, cioè se l’immagine in essa contenuta sia effettivamente quella di Gesù di Nazareth. Preferisce usare il termine «uomo della Sindone», lasciando alla scienza il compito di rispondere alle domande: a che epoca risale il sudario? Qual è il suo luogo d’origine? Come si è formata l’immagine? Ne autorizza però il culto come reliquia o icona della passione di Gesù.

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