Tommaso di Kim Rossi Stuart

Esce il secondo lungometraggio dell’attore-regista, a dieci anni di distanza dal suo primo film. Ripercorriamo il percorso di un artista sincero e ancora giovane
Kim Rossi Stuart

Bello, per carità. Anzi stupendo. Il viso più perfetto della sua generazione. Intenso, delicato, elegante, asciutto. Pulito e tenero come quello di un bimbo. Eppure, oltre quelle gote magre e quegli occhi limpidissimi, nuota un animo sensibile e complesso. Lo dice la posata malinconia che galleggia nel suo sguardo, lo dicono i suoi personaggi e i suoi film da regista.  Ovvio, non "Fantaghirò" e "Il ragazzo dal kimono d’oro": giovanili occasioni, necessari primi passi, albori lontani. Prodotti per bambini e per ragazzi, per forza svincolati da figure dal particolare spessore piscologico. Ma poi, mica tanto dopo, ecco una preziosa collezione di caratteri dal costante e interessante movimento interiore. Uomini smarriti, fragili, tenui, oscuri, pensosi, tormentati, sofferenti.

 

Come se a lui, Kim Rossi Stuart da Roma, 31 ottobre 1969, la meravigliosa presenza non interessasse granché. Come se a spingere la sua arte sia l’esigenza di sciogliere nodi e trovare risposte. È questo il bello doloroso da raccontare. Il necessario da filmare. Ecco, allora, che la sua sfacciata bellezza fa cortocircuito con le inquiete personalità delle sue creature. Figlio di attori, è stato dentro il cinema da sempre, ha conosciuto i grandi del cinema italiano che era ragazzino, ha capito presto il senso più nobile del suo mestiere.  «Sono ambizioso», ha ripetuto in questi giorni a Venezia, presentando il suo secondo film da regista, "Tommaso". Un’ambizione impegnata, levigata con molto e buonissimo teatro. «Desidero costruire cose autentiche» ha continuato. Prodotti non banali, non furbi, sinceri, importanti.

 

Del 1994 è la prima buona occasione: "Cuore cattivo" di Umberto Marino. Il viso angelico di Kim si sporca di estrema periferia romana. Gli occhi spaesati si ammalano di violenza e cocaina, di miseria e degrado, di solitudine e bisogno di amore. Nasce Claudio Scalise, incattivito pezzo di pane che rapina e prende in ostaggio una ragazza paraplegica. Sbandato e affannato, si muove ed urla dentro quattro mura grigie di un’estate romana desolata. Sporco, brutto e cattivo, però, man mano che la pellicola procede, è quello che gli gira intorno; non lui, che finisce male in quel pomeriggio di un giorno da cane bastonato. Un colpo di pistola lo fredda e manda a nero la buona prova del giovane attore. Quando le immagini ritornano Kim è Saverio, diverso eppure simile a Claudio. Sottile, indifeso e  chiuso al mondo. Tremolante lo stesso in faccia alla vita.

 

È un "Senza pelle", come recita il titolo del bel film di Alessandro D’Alatri di cui è protagonista. È uno psicotico, un sovraesposto, in fondo un altro che chiede amore senza riuscire a farlo normalmente. Va formandosi un profilo di attore vistoso, bravo in personaggi estremi. Kim capisce l’importanza di Saverio. «Rimanevo chiuso in camerino dodici ore per trovare le corde giuste ‒ dichiarerà più tardi ‒  gli dedicavo anche le mie notti». Se ne accorgono in tanti, se ne accorgono i grandi. Antonioni gli affida un episodio del sensuale e affascinante "Al di là delle nuvole". Brevi racconti sul profumo e il retrogusto dell’amore. Kim ne coglie la poesia attraverso Silvano, che in una Ferrara nebbiosa annusa la bellezza femminile e poi si ferma. La sfiora, la desidera, ma preferisce non soddisfare il desiderio per tenerlo vivo per sempre. Con sé. È maschilità nascosta, ma vera, è insieme forza e tenerezza, è qualcosa che porta D’Alatri a scegliere di nuovo lui per dare corpo e voce a un uomo straordinario: Kim Rossi Stuart incarna Gesù nell’interessantissimo "I Giardini dell’Eden" (1995), sul periodo meno raccontato della vita di Cristo: dai 12 ai 30 anni.

 

È un romanzo di formazione speciale, la scoperta di se stesso che porta a Dio, una vertiginosa crescita umana e spirituale che l’attore romano gestisce sapientemente, con voce soffiata ed occhi sicuri e luminosi verso qualcosa di lontano ed enorme. Poi una brusca virata, un passaggio da figlio  eccezzionale a padre confuso, messo a dura prova dalla vita: "Le chiavi di casa" di Gianni Amelio (2004), dove ha un figlio adolescente e disabile che non vede da anni. Deve, e forse vuole, accompagnarlo in Germania per farlo curare. È l’occasione, da non perdere, per fare i conti con la vita sospesa, e crescere, passando per il dolore e per la meraviglia della vita imperfetta. Quel figlio fragile lo sosterrà, lo scuoterà e gli allargherà la mente dopo avergli spalancato il cuore.

 

A ben guardare anche il “freddo” di "Romanzo criminale" (Michele Placido 2005) ‒ di poco successivo ‒ racconta la delicatezza di Kim Rossi Stuart. Si, qui malavitoso e bandito, certamente. Eppure l’unico della Magliana a nutrire l’esigenza di un amore sano, semplice e normale. Roberta! Persino in quel disastro umano, dentro un film più commerciale che d’autore, affiora il sottile candore dell’attore, la sua fragranza.

 

Poi all’improvviso un boom, l’esordio, a dir poco convincente, alla regia. "Anche libero va bene" (2006), sorprendente, solido ed emozionante. David di Donatello miglior regista esordiente. Il protagonista è lui, padre stavolta assai presente e assai realistico, con pregi e difetti. Duro e dolce, senza moglie al fianco, fallace in ottima fede, mentre i bambini, raccontati con la precisione dei maestri, ci guardano, ci insegnano e ci commuovono. «C’era la voglia di tornare a guardare il mondo con gli occhi dell’infanzia – spiegò presentando il film alla stampa ‒ è un periodo fondante della nostra vita e non va mai perso di vista».

 

È nato un autore, ma chi attende rapido il bis rimane deluso; deve accontentarsi, si fa per dire, di un nuovo tuffo nella sofferenza. Mai come stavolta, forse, il personaggio è doloroso. È Luca Flores, pianista jazz malato di mente, morto suicida a 39 anni.  «Ottimo Kim Rossi Stuart – scrive Merenghetti sul Corriere ‒ capace di esprimere le forti emozioni che attraversano la mente e l'animo di Flores con una encomiabile economia di mezzi espressivi». Il film è "Piano, solo" di Riccardo Milani (2007), drammatico e basta, e allora, quasi per mostrare di saper stare anche in commedia, ecco due dinamiche interpretazioni con registi italiani di esperienza: Francesca Archibugi per "Questione di cuore" (2009)  ‒ è un carrozziere del Pigneto, quartiere di Roma, malato di cuore ‒ e "Anni Felici" di Daniele Luchetti (2013) – è un artista d’avanguardia diviso tra bisogno di esprimersi e doveri di padre e di marito. In mezzo, "Vallanzasca" di Michele Placido (2010), altro viaggio col lanternino per cercare le pieghe ed i dettagli umani di un personaggio tenebroso e complesso. Finalmente oggi, a dieci anni dal bell’esordio, Kim torna a dirigere e riprende le tracce del ragazzino di "Anche libero va bene". Oggi è adulto, soffre, ed è lui stesso a interpretarlo. Si chiama come il bambino di dieci anni prima, Tommaso, appunto, e porta dietro i segni di un ambiente familiare sballato e trascurato. Film personale e libero, nel bene e nel male. Interessante ed utile opera di un artista sincero e ancora giovane. Bello, per carità, ma dall’animo sensibile e complesso.

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