Tolkien, la Fiamma e il senso dei simboli

La politica non è riducibile a semplice marketing elettorale ma attinge all’immaginario profondo delle scelte umane. Il simbolo della Fiamma che ha fatto discutere in campagna elettorale, lo strano caso della mitologia de Il Signore degli Anelli e la necessità di un serio confronto sulle radici della storia nazionale in Italia
Elezioni politiche 2022 Foto Marco Alpozzi/LaPresse
Foto commons wikipedia

La bella ed elegante piazza del Popolo a Roma possiede tutte le caratteristiche della teatralità necessaria in politica per attrarre e sedurre le masse. Nei tempi arcaici era il campo di Marte dedicato al dio della Guerra e quindi luogo di esercitazioni di combattenti.

Non è stato perciò strano ascoltare, in quella stessa area adibita al comizio di chiusura della campagna elettorale di Giorgia Meloni, il doppiatore Pino Insegno ripetere l’invocazione alla battaglia del re Aragorn nel finale del Signore degli Anelli, la celebre saga mitologica di J R Tolkien: «Figli di Gondor! Di Rohan! Fratelli miei! Vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore! Ci sarà un giorno, in cui il coraggio degli uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo ogni legame di fratellanza, ma non è questo il giorno! Ci sarà l’ora dei lupi e degli scudi frantumati quando l’era degli uomini arriverà al crollo, ma non è questo il giorno! Quest’oggi combattiamo! Per tutto ciò che ritenete caro su questa bella terra, v’invito a resistere! Uomini dell’Ovest!».

Rappresenta un caso tipicamente italiano l’uso di quest’immaginario, ormai noto a molti dopo la trasposizione cinematografica del corposo libro del celebre professore britannico di fede cattolica, da parte della gioventù di destra negli anni 70 che trovò così un riferimento ideal archetipico diverso da quello mussoliniano espresso dai militanti dell’ex Repubblica di Salò che fondarono nel 1946 il Movimento Sociale Italiano. I campi hobbit promossi in località remote della campagna italiana, come evidenziato in un’intervista su cittanuova.it di qualche anno addietro, furono un’esperienza di formazione originale di quella generazione che marcava la propria alterità dalla cultura prevalente di sinistra oltra alle miriadi di campi scuola dell’associazionismo cattolico.

La marginalità di quell’area politica, tollerata ma esclusa dall’arco costituzionale dei partiti antifascisti, è durata fino all’avvento di Berlusconi nell’agone politico. L’imprenditore fondatore di Fininvest nel 1993 si espresse a favore della candidatura a sindaco di Roma dell’allora segretario del Movimento Sociale italiano Gianfranco Fini. Alla fine prevalse l’ex radicale Rutelli transitato ai verdi e poi alla Margherita (Ex Ppi), ma Fini raccolse in città il 47% dei consensi. Lo “sdoganamento” operato da Berlusconi ha condotto il Msi a cambiare nome in Alleanza Nazionale, mantenendo il simbolo storico della Fiamma tricolore, per poi entrare in posti strategici nei governi guidati dal leader di Forza Italia a partire dal 1994 fino a sciogliersi nel 2005 per confluire nell’unico partito del Popolo della Libertà(PdL), aderente al Partito popolare europeo.

Ma l’identità originaria del Msi è ricomparsa nel 2012 grazie alla scissione dal PdL e alla fondazione di Fratelli D’Italia ad opera di Giorgia Meloni, Guido Crosetto e Ignazio La Russa con il recupero del simbolo identitario della Fiamma che Almirante mutuò nel 1946 dalle insegne degli arditi della prima guerra mondiale ma collegata esplicitamente, come sanno bene i militanti e non solo, alla fiaccola sempre accesa sulla tomba di Mussolini.
Esiste ad ogni modo un nesso storico rivendicato ed esibito tra l’Italia vittoriosa di Vittorio Veneto del 1918 e il movimento delle camice nere che arrivò al potere nel 1922. E anche Fratelli d’Italia punta in maniera decisa sulla tradizione interventista del primo conflitto mondiale come può riscontrarsi nelle iniziative recenti nel 2021 tra le giunte a guida FdI di riconoscere la cittadinanza onoraria al milite ignoto nel centenario della sua traslazione nell’altare della Patria. Un’attenzione alla memoria storica che è invece mancata nella riflessione critica e approfondita del centenario della Grande Guerra, l’evento epocale conosciuta anche come “inutile strage” in base alla tragica definizione di Benedetto XV.

Si tratterà ora di capire come questa visione storica e culturale verrà proposta dal nuovo governo su scala nazionale, considerando il valore che può avere un confronto sollecitato sulle radici della nostra storia nazionale. È significativo in tal senso il movimento di consapevolezza civile che è riuscito recentemente a rimuovere un sacrario eretto in memoria del generale Rodolfo Graziani ad Affile in provincia di Roma nonostante la responsabilità del gerarca nello sterminio della popolazione etiope negli anni 30 e in particolare la strage dei monaci copti ortodossi del monastero di Debra Libanos.
Dal confronto aperto e auspicabile in democrazia è possibile recuperare un fondamento condiviso della identità nazionale quanto più necessario in un tempo in cui la pulsione alla guerra appare sempre più intensa nel cuore dell’Europa.

In tal modo si potrà anche capire perché la simbologia tolkeniana, nata dall’orrore della prima guerra mondiale, abbia ispirato, ad esempio, in altri Paesi i movimenti per la difesa della terra dalla sua autodistruzione.

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