Sfoglia la rivista

In profondità > Personaggi

Titico e la sua chitarra: «La luna non si spegnerà…»

di Leopoldo Verona

Un ricordo dell’artista Tico Da Costa (13/11/1951-29/9/2009). La sua musica, la sua allegria, il suo irresistibile carisma comunicativo, la sua relazione con l’Assoluto, il suo contributo al Movimento Gen. Il concerto del 12 dicembre 2009 a Castel Gandolfo dopo la sua partenza. Intervista su domande preparate dalla moglie Sara Fracchia

Titico (a destra) con Leopoldo Verona

Leopoldo, come hai conosciuto Tico?

Non ricordo bene quale anno fosse esattamente. Comunque, tra il 1970 e il ’72. Mi trovavo a Palermo per studiare architettura e partecipavo con grande entusiasmo alle iniziative e manifestazioni del Movimento Gen. Con il movimento si era organizzato un incontro di alcuni giorni a Petralia Soprana, un piccolo paese della provincia di Palermo situato a oltre mille metri di altezza. L’incontro prevedeva la partecipazione di numerosi giovani provenienti da Sicilia e Calabria, e la speciale presenza di alcuni membri del Centro Gen mondiale che ha sede a Roma. Naturalmente vi ho partecipato e fu lì che ho conosciuto Tico, per noi familiarmente e simpaticamente Titico, venuto appunto con il Centro Gen. Del clima di fraternità, di profonda e semplice spiritualità che si è vissuto in quei giorni conservo il ricordo di una particolare gioia alla quale certamente ha contribuito la presenza di Titico.

A parte i momenti degli incontri tutti insieme durante i quali lui suonava e cantava le sue canzoni affascinando tutti con i contenuti dei suoi testi, la freschezza della sua musica, la maestria del suo modo di suonare, non c’era momento  che non lo si vedesse attorniato da persone con la sua chitarra a cantare e scherzare con tutti facendo risuonare dappertutto, nel villaggio che ci ospitava, la sua contagiosa risata. Per me poi è stato particolarmente importante la sua presenza perché già da qualche anno suonavo la chitarra e avevo anche composto delle canzoni, ma non mi era possibile frequentare il conservatorio, dove avrei voluto andare; quindi, cercavo di imparare da chiunque sapesse suonare bene questo strumento. Titico, in particolare, mi piaceva oltre che per la sua bravura negli arpeggi, anche perché nei suoi testi esprimeva i concetti con poesia. In quei giorni mi sono fatto insegnare parecchie cose e lui si è fermato con me a seguire gli esercizi che durante le pause facevo di quanto mi suggeriva ma anche ad ascoltare con interesse cose mie. Tutto ciò, come ho detto, in un clima di grande allegria e sincera accoglienza reciproca.

Che impressione hai di Tico come persona?

 Ho detto un po’ l’impressione che ho avuto di Tico in quella prima conoscenza. Nel tempo però, e nelle ripetute occasioni che abbiamo  avuto di incontrarci e anche di lavorare un po’ insieme, quello che è maturato in me è la convinzione di una persona speciale, dotata certamente di grande talento musicale e artistico ma soprattutto di un irresistibile carisma comunicativo, desideroso di entrare in contatto con tutti e tutto ciò che incontrava, anche attraverso lo scherzo, o addirittura la burla… per non dire, cosa che è evidente in tanti dei suoi testi e delle sue poche ma significative confidenze, della più importante delle relazioni che gli interessava, che era quella con l’Assoluto, con Dio. Ci saranno stati sicuramente momenti di grande sofferenza nel suo percorso, ma a considerare alcune tra le ultime delle sue affermazioni, appare evidente che in ciò è consistito l’orientamento di tutto il suo vivere e tutto il suo fare.  Non credo di esagerare quindi nell’affermare che Titico è stato e rimane per me un esempio modello di ciò che costituisce la natura stessa dell’essere umano che fondamentalmente è “essere relazione”.

E come artista (cantautore, paroliere, chitarrista)?

 Anche qui ci sarebbe molto da dire, anche se in parte ho detto. Vorrei tuttavia sottolineare che quello di Titico come artista non era un modo di fare ma un modo di essere. Nei suoi lavori, infatti, si ritrova la stessa caratteristica del suo modo di comportarsi e di rapportarsi di ogni giorno. Ad ascoltare le sue innumerevoli composizioni non si può non notare la varietà dei temi che spaziano dal sociale al fantastico allo spirituale con intensi brani che rivelano la sua esperienza dell’amore che vive nell’animo umano. Il suo modo di suonare poi è davvero unico. Parlando di ciò non riesco ad usare il passato anche perché, grazie alla numerosa documentazione che lo rende sempre presente, in certo modo è come se continuasse a suonare.

Si potrebbe dire che Titico e la sua chitarra sono diventati un tutt’uno. Per lui la chitarra è come la parola. Le fa dire quanto vuole esprimere. E la sua chitarra racconta. Come dimenticare il racconto del sogno con Frankestein… o quello del mosquitinho… per citarne alcuni di quelli divertenti. Ma è così anche con le canzoni più serie e profonde, come ad esempio Con poesia, dove la chitarra sembra voler sostituire un’intera orchestra per esprimere l’intensità del testo che accompagna durante la sua melodia. Tutto è espresso in Titico con la chitarra. Il gioco… la risata… il pianto… la tenerezza… il suono delle campane… quello di una banda musicale… Fino ad arrivare ad esprimere il silenzio… come ad esempio in “Estrela”. E il tutto, parole, musica… silenzi… è offerto con la leggerezza di chi possiede una grande conoscenza ed esperienza degli strumenti che utilizza e pervaso da una costante semplice, giocosa ma nello stesso tempo profonda e a tratti solenne, poesia.

Hai assistito a qualche spettacolo di Tico? Come era la sua relazione con il pubblico?

Ho avuto l’opportunità di sperimentare questa gioia alcune volte. Ecco. Questo è qualcosa che certamente ci è mancato e ci manca, essendo venuto a mancare lui. E il ricordo, per quanto vivo, di quei momenti non appaga il desiderio di poter assistere ancora a quello che ogni volta era un evento, per riviverne ancora la saudade… il duende che in quelle occasioni non mancavano insieme alla prorompente, coinvolgente gioia di vivere che Titico riusciva a trasmettere. Era un po’ come assistere a certi spettacoli di danza dove accade qualcosa che vivi solo lì, mentre vi partecipi, ma quanto accade ti resta impresso per sempre.

Titico si relazionava con il suo pubblico, che fosse di poche persone o di migliaia, come si rapportava con un amico, raccontando con la sua musica, con il suo magistrale virtuosismo chitarristico, momenti vissuti, realtà intuite, sofferenze condivise, sogni comuni di un mondo positivo in cui vivere, proponendo la sua visione ottimistica della vita con fiducia e sincera partecipazione, come avviene tra persone mature e responsabili,  ma anche con la giocosa semplicità e l’immediatezza dei bambini. Si potrebbe dire che Titico esercitava una specie di magnetismo per cui era quasi impossibile per lo spettatore non essere attratto, coinvolto, contagiato… un po’ stregato dal suo modo di proporsi sulla scena. Mi rendo conto di parlare mosso dall’emozione nel ricordo di una persona cara. Ma penso non ci sia nessuno che abbia conosciuto Titico, sia personalmente che nei suoi spettacoli, che non abbia provato sentimenti di ammirazione e di stima nei suoi riguardi e che non possa affermare di avergli voluto e di volergli bene.

Se ricordi, puoi citare alcuni episodi interessanti di convivenza, originalità o interesse, vissuti con Tico.

Di ricordi personali ce ne sarebbero moltissimi e moltissimi poi sono anche quelli ascoltati, scambiati con amici comuni o con persone che lo hanno conosciuto. Mi viene in mente in particolare quanto è accaduto durante un suo spettacolo. Eravamo agli inizi degli anni Ottanta. Io mi trovavo a Milano e Titico era venuto in Nord Italia per alcuni concerti. Era un periodo in cui ero libero dal lavoro così mi resi disponibile per una assistenza tecnica, soprattutto per le luci, durante due serate di sua esibizione in un teatro dell’Emilia e Romagna. Per l’occasione eravamo ospiti presso una famiglia di amici comuni che ci hanno trattato come principi, con saporiti pranzi e delicate attenzioni, mentre avvenivano i preparativi per lo spettacolo. Ricordo le belle conversazioni con tutti loro e vari altri amici che venivano a trovarci. Abbiamo dormito poco in quei giorni anche perché quando ci ritiravamo nella stanza che ci avevano messo a disposizione, con un letto a castello ricordo, ci raccontavamo di noi visto che non ci vedevamo da parecchi anni. Titico avrebbe voluto che facessi anch’io un’intervento durante il suo spettacolo. Io però gli ho detto che non me la sentivo. La prima serata si è svolta benissimo. Io stavo alla consolle delle luci situata a bordo palco dietro una quinta, e seguivo tutto da lì felice di godermi lo spettacolo.

Verso la metà della seconda serata, Titico si ferma un attimo e rivolgendosi agli spettatori con tono serio dice che deve fare un annuncio. “Come potete immaginare chi vi permette di vedermi è una persona che sta qui dietro il palco e si occupa delle luci”. A me è cominciato a venirmi un certo timore. Poi, continuando e sorridendo aggiunge: “Quello che forse non sapete però è che questa persona è un mio amico ed è un artista che io voglio invitare a venire qui a cantarci qualcosa…” Naturalmente scoppia un applauso mentre lui mi guarda ridendo e io per tutta risposta lo lascio per un attimo al buio ma subito riaccendo e vado accanto a lui che con un gran sorriso e con sguardo birichino mi passa la sua chitarra. Impossibile resistere a quell’invito. Ma imbracciando la chitarra ricambio la birichinata e comincio a suonare un suo pezzo che sapevo non essere in programma “I complimenti”. Lui lo canta con me e poi riprendendo la chitarra accenna a una mia canzone, che sapevo gli piaceva molto, e praticamente la cantiamo assieme. Come si può immaginare è stato un momento davvero speciale fra noi e anche per gli spettatori che si sono divertiti a vederci giocare insieme sul palco.

Tra le cose che non potrò dimenticare c’è poi quell’incontro avvenuto a Verona il 24 luglio 2009, la vigilia del suo rientro con Sara in Brasile dopo l’annuncio della grave malattia. Io tornavo da un viaggio in Germania durante il quale avevo ricevuto la notizia della gravità diagnosticata. Arrivato alla stazione di Verona mi accingevo ad andare a trovarlo in ospedale quando mi comunicano che invece è uscito e si trova a casa di parenti. Ci arrivo che ancora si stava sistemando. Durante quei momenti insieme densi di commozione, data anche la particolare situazione, ci sono stati tra l’altro scambi di canzoni in un clima che non esiterei a definire festoso nella sua drammaticità circondato dall’affetto dei nipoti, familiari e amici.

Il concerto

Quello che mi colpì fu la normalità con cui accolse il mio progetto di un concerto da fare insieme con amici musicisti e cantautori con cui avevamo condiviso nel tempo ideali ed esperienze di vita. Arrivammo anche a considerare alcuni dettagli sulle caratteristiche del concerto, sui tempi per la sua realizzazione…. Eravamo consapevoli della probabilità che non ci saremmo più rivisti… e così avvenne, essendo lui “partito” per il Cielo il 29 agosto seguente. In quella occasione, Lina Wertmüller affermò: «Non so perché, non riesco ad immaginarlo se non come una farfalla… una farfalla colorata. Che cos’è una farfalla… è una cosa… una piccola magia di colori… di bellezza… che passa nel cielo di primavera e poi scompare. Vive solo un giorno, ma è un tracciato di bellezza quello che lascia».

Il progetto di concerto si è poi realizzato, quasi nei tempi previsti. Lo volli intitolare Nel segno e nel sogno, volendo sottintendere “di Titico”, e così fu chiamato ed eseguito nel dicembre del 2009.  Gli amici pensati c’erano tutti e… c’era anche lui… più presente che mai!

Consideri che Tico/la sua opera abbia avuto la dovuta riconoscenza in vita?

Credo che per pochissimi si possa affermare che ciò sia accaduto nel modo dovuto. Già per ognuno non è facile conoscere sé stesso figurarsi riuscire a riconoscere il vero valore delle persone che incontriamo nel nostro vivere. Forse è per questo che persiste nell’essere umano quell’infinita sete di verità, di bellezza… di infinito… che comunque, di tanto in tanto, a furia di cercare, trova oasi per dissetarsi. Tuttavia, pensando a Titico, credo che, se pure non ha avuto tutto il riconoscimento che meritava, di certo ha saputo resistere e persistere nel camminare e progredire lungo la strada che ha intrapreso, ricevendo anche autorevoli apprezzamenti. Pochi, forse, rispetto all’intensità e alla quantità del suo fare. Ma se come si suole dire la morte rivela un’esistenza a me piace pensare, anzi ne sono certo, che, grazie all’interesse e all’amore di quanti lo apprezzano e lo amano venga alla luce il lavoro e il valore di questo grande, bello, vero figlio dell’umanità.

Riproduzione riservata ©

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come?
Scopri le nostre riviste,
i corsi di formazione agile e
i nostri progetti.
Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni:
rete@cittanuova.it

Esplora di più su queste parole chiave
Condividi

Ricevi le ultime notizie su WhatsApp. Scrivi al 342 6466876