Tibet inquieto e Olimpiadi

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Quando il Comitato olimpico assegnò i Giochi Olimpici del 2008 a Pechino, ci furono legittimi festeggiamenti in Cina. La decisione, benché da alcuni contestata per ragioni politiche e etiche, è stata, a ben guardare, lungimirante. Le Olimpiadi infatti accendono un riflettore sul Paese che li ospita, amplificando a livello mondiale gli eventi che in essi si volgono, nel bene e nel male. Le Olimpiadi sono una finestra aperta sulla società, sull’economia e sulla classe politica del luogo ove si svolgono. È questo un elemento che milita nettamente contro la proposta, da alcuni avanzata dopo i sanguinosi episodi avvenuti in Tibet, di boicottare le Olimpiadi di Pechino, cosa che nemmeno il Dalai Lama auspica. Vari sono i livelli di analisi. In primo luogo, esiste un problema tibetano che rientra nel tema più generale dell’assetto di un Paese complesso come la Cina, che è in una certa misura anche un Paese multiculturale. Basti pensare allo Xinjiang, dove l’influenza islamica è molto forte. La richiesta del Dalai Lama non è, a questo proposito, l’indipendenza del Tibet, ma un’autonomia qualificata in termini di autogoverno per le questioni linguistiche, etniche, culturali. C’è poi un problema più generale che riguarda l’impatto della modernizzazione economica galoppante che in Cina rischia di travolgere non solo la cultura tibetana, ma anche la tradizione millenaria cinese. Infine, c’è il grande quesito riguardante la compatibilità, a lungo andare, tra un sistema di ipercapitalismo e una politica ancora in gran parte chiusa ai processi democratici e pluralistici. Certo, i gravissimi scontri in Tibet non possono esser liquidati né come opera di pochi facinorosi (quella che Pechino definisce la cricca del Dalai Lama), né come episodi di delinquenza comune contro persone e beni cinesi in Tibet. Al contrario, la questione rischia di sfuggire di mano alla dirigenza cinese per le fortissime ripercussioni a livello mondiale e per la sua connessione ai diritti umani. Il sofferto cammino della fiaccola olimpica è un segnale eclatante. Nonostante l’atteggiamento pragmatico e prudente di molti governi occidentali, la reazione dell’opinione pubblica mondiale potrebbe essere assai ampia. Ecco perché è essenziale che almeno l’Europa sia in grado di varare una strategia coerente ed efficace, che miri ad un dialogo vero tra Pechino e il Dalai Lama. E questa strategia che manca non si può ridurre ad una gara di bellezza dei diversi leader, o agli annunci di chi andrà alla cerimonia di apertura e chi a quella di chiusura.

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