Domenica sera un terremoto di magnitudo 6 ha colpito le regioni orientali dell’Afghanistan, nella provincia montagnosa di Kunar, e ha fatto tremare i palazzi da Kabul alla capitale pakistana di Islamabad. Ancora ieri nuove scosse di magnitudo 5.5 hanno scosso il sud est del Paese suscitando paura e ulteriori danni.
Ad oggi sono oltre 1.400 le vittime e più di 3.000 i feriti, bilancio provvisorio che potrebbe crescere in modo esponenziale data l’estrema difficoltà per i soccorsi di raggiungere le aree colpite. La zona è impervia, le strade bloccate dai detriti, ci sono villaggi completamente rasi al suolo, molte aree risultano isolate e le comunicazioni sono interrotte. Alcuni media locali collegano il terremoto alle improvvise inondazioni verificatesi nel fine settimana che hanno causato frane e danneggiato le infrastrutture.
È un territorio che nella sua storia recente conta più di un centinaio di terremoti: solo negli ultimi 30 anni hanno causato oltre 10.000 morti. Ma oggi assistiamo ad una tragedia nella tragedia.

Stand di bestiame accanto a case danneggiate dopo un terremoto a Kunar, in Afghanistan, 01 settembre 2025. Foto: EPA/SAMIULLAH POPAL via Ansa
Fa da sfondo a questa ennesima emergenza umanitaria una società provata fino all’estremo. Dopo la presa del potere da parte dei talebani l’Afghanistan è piombato in una grave crisi economica dovuta anche al ritiro degli aiuti internazionali. Negli anni precedenti, circa l’80% del bilancio proveniva da donatori stranieri e finanziava quasi tutta l’assistenza sanitaria pubblica. Le politiche intransigenti del regime, come il divieto dell’istruzione e dell’occupazione femminile, hanno comportato un forte calo dei finanziamenti penalizzando anche l’assistenza umanitaria al Paese.
Il disastro metterà ulteriormente a dura prova le risorse dell’amministrazione talebana che si deve confrontare con una nazione devastata dalla guerra e dalla siccità, e alle prese con il ritorno di quasi due milioni di rifugiati, costretti a rientrare negli ultimi mesi da Pakistan e Iran.
E non è tutto. Forse l’aspetto meno appariscente ma più devastante è la completa assenza della donna dal luogo pubblico. I luoghi delle decisioni, i luoghi della cura sono esclusivamente in mano maschile. Sappiamo che solo le professioniste sanitarie possono curare le donne. Tuttavia, poiché i loro diritti – compreso il diritto allo studio – sono stati revocati, sono sempre meno le donne che lavorano nel settore sanitario, mettendo a rischio metà della popolazione del Paese. Si teme che la salute e la sicurezza delle donne e delle ragazze possano essere maggiormente a rischio. Il governo talebano «continua a limitare il loro accesso ai servizi salvavita» esponendole ad una disumana vulnerabilità.

Un elicottero militare talebano trasporta vittime ferite dopo un terremoto a Kunar, in Afghanistan, 01 settembre 2025. Foto: EPA/Samiullah Popal via Ansa
La cultura delle zone di montagna inoltre è estremamente conservatrice e sono le donne stesse a sottostare a regole non scritte. Pare che alcune donne abbiano scelto di aspettare la luce del giorno per essere portate in ospedale da familiari. Le immagini che documentano gli interventi dei soccorritori, i salvataggi con gli elicotteri sono tutte coniugate al maschile. Chi conosce la vita “dentro le case” di questa società provata sa, però, che la donna ha un ruolo fondamentale nella “cura” della famiglia e che probabilmente – anche in questa tragica circostanza – ci saranno storie importanti che resteranno sconosciute.
I quotidiani locali riportano la notizia senza commenti, con dati, cifre, proiezioni e la richiesta accorata di aiuti internazionali. Non si accenna al “futuro”, si scava. La comunità internazionale si è attivata. L’Unione europea ha stanziato 1 milione in di euro in finanziamenti umanitari d’emergenza per rispondere ai bisogni più urgenti. Oltre al supporto finanziario Bruxelles fornirà circa 130 tonnellate di forniture di soccorso provenienti dalle proprie scorte umanitarie, con beni come tende e materiali per rifugi temporanei, abbigliamento, forniture mediche e materiali per la purificazione dell’acqua, da consegnare tramite due voli umanitari che dovrebbero arrivare a Kabul entro fine settimana. Anche Iran e Pakistan hanno manifestato solidarietà e si dicono pronti ad aiutare.