Terremoto Centro Italia, ritardi e aspettative

A quattro anni dal terremoto in Centro Italia, il più violento dopo quello dell’Irpinia. Le criticità nel report di Fillea Cgil e Legambiente. Il  turismo che cambia tra i borghi agibili al tempo del Covid.

Ha parlato di macerie «rimosse, ma al loro posto nulla o poco è tornato» nonché di «animi che hanno bisogno e diritto di veder risanate le loro ferite interne». Questo è il messaggio a quattro anni del sisma del 30 ottobre 2016 della madre priora del monastero santa Rita da Cascia suor Maria Rosa Bernardinis. La comunità religiosa del famoso santuario dedicato a Santa Rita mantiene accesa la lampada della speranza nel fazzoletto di territorio vicino a Norcia e Preci, epicentro di quella seconda scossa che alle 7 e 40 di domenica 30 ottobre risvegliò il Centro Italia provocando stavolta ingenti danni solo edifici tra cui la cattedrale di San Benedetto a Norcia.

Non se ne registrava una di tale intensità e durata dal terremoto dell’Irpina nel 1980 e aveva ridestato l’incubo nelle comunità dell’Appennino dell’Italia centrale già duramente provate dagli effetti disastrosi della scossa del 24 agosto: il terremoto che aveva quasi raso al suolo Amatrice e molti centri di Abruzzo, Marche, Lazio e e Umbria.

E in queste zone, ad oggi ancora si attende un vero cambio di marcia nella ricostruzione, le cui aspettative sono state, al momento, fortemente disattese per quello che era stato da più parti annunciato come il più grande cantiere d’Europa che avrebbe dato lavoro a centinaia di imprese e fatto lavorare circa 15 persone del mondo edile di altri settori. Lo stesso Presidente della Repubblica Mattarella, recentemente, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico all’Università di Macerata, così si era espresso: «La ricostruzione dei territori colpiti dal terremoto, che è ormai di quattro anni addietro, rappresenta un punto primario dei doveri della Repubblica». Un discorso che ha fatto particolarmente breccia in un territorio, quali le Marche, che da sola conta 30 mila sfollati, il 62%  dei danni dell’intero cratere  e con oltre 46 mila edifici danneggiati.

La ricostruzione, insomma, non è stata né veloce né diffusa. Lo racconta attraverso un’analisi dettagliata il recente report di Fillea e Legamente evidenziando che tra i principali motivi che c’è anzitutto l’idea di ricostruzione basata sul completo finanziamento pubblico su beni pubblici e privati. Ovvero il far affidamento alla disponibilità di risorse pubbliche che ha portato a prevedere una ricostruzione vicina nei numeri al totale dei danni censiti dagli Uffici Speciali per la Ricostruzione (Usr).

Ma il report sottolinea ancora che tra gli elementi che non hanno funzionato c’è la mancanza di analisi e di progettazione che tenessero conto che nel cratere convivono fattori di governo locale (si tratta infatti di centinaia di piccoli comuni e frazioni), nonché di tutti i vari processi sociali ed economici che già erano in atto al momento del terremoto tra cui lo spopolamento di molte zone. Infine, a rallentare la ricostruzione vera e propria il rinunciare alla “leva” del finanziamento pubblico con scadenze chiare e definitive che avrebbero potuto incentivare la presentazione dei progetti prioritari da parte delle amministrazioni locali, delle imprese e dei cittadini. In questo senso, continua il report,  ne è un esempio il ricorrere alla continua proroga dei Cas (Contributi di Autonoma Sistemazione) non collegati ad un termine breve di presentazione delle domande di finanziamento per i danni lievi o gravi delle abitazioni.

Ma, ancora, in questa direzione risulta comunque positivo l’intervento del quarto commissario alla Ricostruzione del Sisma 2016 Giovanni Lignini di concedere un’ultima proroga del termine per la presentazione dei contributi per gli interventi di immediata esecuzione sugli edifici con danni lievi prevista per il 30 novembre 2020.

Infine, ad oggi, sono 30.704 i beni culturali mobili recuperati in Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo. La stessa emergenza Covid è stata anche il volano in questi mesi estivi per un’impennata di turisti in alcuni luoghi, quelli agibili, del cratere. Tuttavia luoghi come Norcia, e altri borghi del marchigiano, hanno pagato lo scotto di non avere strutture ricettive sufficienti all’accoglienza poiché inagibili.

Inoltre, mentre molte delle classiche mete del turismo culturale, hanno ancora registrato l’impossibilità ad accedervi, come nella diocesi di Spoleto e Norcia dove sono  ancora 300 sono gli edifici di culto inagibili, così Castelluccio da Norcia che è ancora in rovina, piccoli borghi come Amandola hanno ripreso vitalità e ci sono anche casi di piccoli musei come i Sistini nel Piceno che hanno ospitato numerosi turisti.

 

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