Il tempo rubato: regole, coronavirus e ragazzi

La curva dei contagi cala. Il Covid passerà ma il disagio creato ai giovani, privati della loro vita per più di due anni, rimarrà. Alice racconta come ha vissuto questo periodo, fatto di lezioni a distanza e occasioni di socialità mancate.
Foto LaPresse - Claudio Furlan

Con le nuove regole sulle restrizioni e sulla scuola, emanate nella prima settimana di febbraio, ha inizio un’attesa fase di allentamento delle misure per il controllo della pandemia. I provvedimenti, auspicati da esperti e cittadini, hanno uno stretto legame con le evidenze fornite dall’analisi dei dati sanitari.

Da un lato, i numeri del contagio, e soprattutto degli esiti di malattia (in primis il tasso di ospedalizzazioni e ricoveri intensivi sul totale dei casi); dall’altro la fortissima evidenza della differenza di rischio di positività, ricovero e morte fra chi ha completato il ciclo vaccinale integrale e chi ha scelto di non aderire a questa misura preventiva.

L’evidenza numerica dell’associazione fra vaccino e protezione (che in termini tecnici è una correlazione causale statisticamente significativa) viene riportata con sistematica costanza dall’ISS nel bollettino settimanale della sorveglianza integrata, ad accesso pubblico. La sua analisi, anche per fasce d’età, è alla base delle decisioni in merito all’obbligo vaccinale e alle relative differenze di limitazioni fra i gruppi protetti e quelli non protetti. Un sistema, dunque, basato sui numeri e sulle evidenze, che si sta dimostrando in grado di gestire con flessibilità e oggettività i provvedimenti restrittivi.

Qualche perplessità rimane se si analizzano nel dettaglio le limitazioni a cui sono state fin qui sottoposte le fasce più giovani della popolazione: come noto, i bambini e i ragazzi sono quelli che hanno un minor rischio di contagio, ospedalizzazione e morte a seguito dell’infezione da Sars-COV-2, rischio che può essere molto ben contenuto dalla vaccinazione. La stessa fascia di popolazione, inoltre, è molto più vulnerabile, in termini di benessere psicologico e psico-fisico, alla limitazione delle relazioni, al pari delle persone anziane e fragili. Tuttavia, è proprio in questa fascia d’età che si sono concentrate le misure restrittive più rigide e le chiusure prolungate di attività sociali; sui più giovani e sulle famiglie grava inoltre il peso di una Babele di regole per la gestione delle attività scolastiche, solo di recente semplificate in maniera decisa.

Per noi adulti, la tentazione di considerare la chiusura delle scuole come unica opzione di fronte al rischio (anziché lavorare per migliorare la sicurezza) è un male atavico: lo consideriamo parte delle contrarietà inevitabili della vita, come le bagarre della politica, le code autostradali degli esodi estivi e il finocchio lesso. Ma per i giovani e i ragazzi la questione non può essere liquidata così.

Di tutto questo ho avuto occasione di parlare con Alice, studentessa pisana di 15 anni; una testolina brillante, con idee chiare e profonde, da ascoltare per bene. Da lei ho imparato meglio ciò che rende diversa la percezione di queste contraddizioni nei ragazzi. Anzitutto, c’è un problema di tempo: a quell’età, nella memoria non è presente quella stratificazione ripetitiva di esperienze che rischia di appiattire gli adulti in un rassegnato “tanto non cambia mai niente”; e il futuro non è qualcosa di lontano e vagheggiato. Anzi, per usare le parole di Alice, è un “presente imminente“, che ti arriva addosso per essere vissuto, non progettato.

In questa prospettiva rapida, di presente continuo, la normalità da riconquistare non è certo quella del 2019: per chi è adolescente, quel tempo appartiene ad un’altra vita, con altri interessi, emozioni e percezioni. E non può essere nemmeno progettato un “futuro normale”, perché la vita non aspetta il tempo dei progetti.

“Il rischio” continua Alice “è quello di una dispercezione temporale: in tutto questo tempo, che è denso perché alla nostra età si cambia e si cresce, ci sembra di non aver vissuto. «Ad esempio, io aspettavo di avere 14 anni per vivere l’emozione di poter andare alle feste con le amiche, ma questo non l’ho vissuto: quando lo vivrò, sarà un’altra cosa».

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

Ascoltandola comincio a capire cosa porta con sé, la virtualizzazione della scuola e degli spazi dei giovani: gli abbiamo tolto la realtà, sostituendola con un mondo finto, atemporale, dove le relazioni avvizziscono e lo sviluppo emozionale si paralizza. Gli abbiamo strappato un tempo, di otto, dieci ore al giorno, nel quale il mondo degli adulti va avanti: lavoro, servizi essenziali, autocertificazioni. Loro no, le attività che li riguardano si fanno da casa, prigionieri di quegli stessi canali di comunicazione online verso i quali, per anni, li abbiamo messi in guardia. E il tempo che abbiamo tolto ad una generazione non possiamo restituirlo.

«L’altra cosa di cui ci sentiamo privati è la fiducia. Siamo messi da parte, considerati come un pericolo: il virus che circola per colpa dei bambini alle elementari, dei ragazzi che vanno negli autobus, del fatto che ci vediamo fuori e parliamo. Dite che siamo noi il futuro ma ci avete tagliato fuori: la DAD è una presa in giro, perché non serve per proteggerci, ma per proteggere un sistema e le sue regole, che tranquillizzano il mondo degli adulti. E la presa in giro si vede anche da come è comunicata: durerà una settimana, poi due, poi un mese, tre mesi… Intanto riapriamo stadi e discoteche, come se il rischio lì non esistesse. E noi ci sentiamo buttati via».

La conversazione dura a lungo. All’inizio cerco di commentare, fare domande, poi rimango per lo più in silenzio. Alice quando parla è un cazzotto nello stomaco: sono le emozioni reali che si esprimono e che spiazzano. Siamo stati tutti sconvolti, a ragione, dalle immagini degli anziani imprigionati nelle RSA. Per la loro sicurezza, certo. Ma sono rimasti soli; privi di relazioni, con l’intelligenza emozionale ad avvizzire come una pianta al buio. Ci siamo interrogati su tutto questo, cercando risposte migliori al principio di massima precauzione.

Una critica doverosa, perché da questi anni qualcosa si dovrà pur imparare, oltre al fatto che va tenuto aggiornato il piano pandemico. Una possibile lezione è quella di imparare a parlare di più anche con i bambini e i ragazzi, non solo per spiegare (a modo nostro) come funziona il mondo. Dovremo ascoltarli con maggiore fiducia e attenzione, senza preclusioni: ne ricaveremo più spunti utili di quanto forse ci aspettiamo, anche se magari vedremo crollare qualche certezza preconcetta. E forse ci farà bene, renderci conto che la dispercezione temporale ce l’abbiamo noi: il futuro, quel presente imminente, non aspetta che lo capiamo da soli.

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