Tecnologia e potere

I politici, i social e il ritorno delle dittature

C’era una volta la politica con la P maiuscola, quando i candidati erano valutati per idee, contenuti, trasparenza, coerenza, onestà, attenzione al bene comune e ai ruoli istituzionali. C’erano le scuole di politica, i valori, le adunanze, le feste. Naturalmente non mancavano corrotti e malati di potere, ma in genere la società condannava queste deviazioni.
Oggi tutto questo sembra lontano. In tv, i telegiornali continuano a propinarci ogni giorno il polpettone di dichiarazioni dei politici. Ognuno di loro ha a disposizione un minuto per lanciare slogan e parlar male degli avversari. Lo slogan deve essere semplice, comprensibile a tutti, anche su temi di solito riservati agli esperti. Tutta la complessità delle situazioni viene risolta in un messaggio elementare e breve, visto che l’attenzione degli ascoltatori è poca. Per essere ricordato, il messaggio deve sollecitare la “pancia” e l’indignazione.

Bulli e bolle
Contemporaneamente, l’avvento dei social ha reso normale un linguaggio violento e rozzo, insieme con atteggiamenti da bullo. È abitudine additare l’avversario al disprezzo della gente con espressioni di odio, attacchi personali e sessisti.
Come conseguenza, il confronto e l’attività politica si abbassano a livelli di discussione da bar, in cui chi urla è più bravo. Ognuno dice quello che vuole, tanto non c’è mai un reale confronto; l’importante è agganciare l’elettore con una promessa. Dopo una settimana si può cambiare idea, tanto la gente dimentica. Il messaggio deve essere istantaneo, con titolo intrigante, dato che nessuno legge o ascolta fino in fondo.
La tecnologia, insomma, ha cambiato tutto. «Le elezioni oggi si vincono con una forte presenza sugli smartphone degli elettori» (Giovanni Ziccardi, Tecnologie per il potere, Raffaello Cortina), mentre la stampa non controlla più la scelta delle informazioni. È il politico che, di prima mattina, impone via Twitter o Facebook gli argomenti da discutere. L’avvento dei social ha portato anche frammentazione e polarizzazione del consenso, per cui ognuno vive dentro “bolle” di persone che la pensano come lui. Per guadagnare voti, quindi, il politico deve additare come “nemici” quelli che non la pensano come lui. Tramite notizie false (fake news), «pochi cani sciolti possono mettere in ginocchio un avversario» politico.

bambino e smartphoneLa fabbrica del consenso
Le piattaforme tecnologiche hanno anche un altro grande potere: modificare gli equilibri elettorali di un Paese, «influenzando in pochi minuti le scelte di milioni di persone». Un politico con fondi adeguati può costruirsi un archivio con i profili degli elettori, memorizzando per ogni cittadino migliaia di dati che riguardano la sua vita e le sue scelte, online e offline. In questo modo è possibile inviare “messaggi personalizzati”: ognuno riceve la proposta che soddisfa le sue aspettative e convinzioni. Si chiama “fabbrica del consenso”: team di esperti studiano come capire e influenzare i sentimenti dei naviganti – paure, speranze, desideri –, orientandoli verso scelte politiche precise, a partire dagli 8 anni. L’obiettivo è il «condizionamento politico delle menti», con gli elettori sempre più vittime di false informazioni. L’aspetto razionale non conta, vale solo la reazione emotiva.

Dittature
In questo modo, la tecnologia diventa una potente alleata delle dittature, che possono spiare, controllare e manipolare il popolo, senza fatica. Un popolo magari contento che “un uomo forte” «prenda le decisioni al posto suo». La democrazia, insomma, «non è più una difesa sufficiente della libertà. La tecnologia può infatti intervenire nel processo di decisione degli individui prima ancora che esso si manifesti in una scelta. Potremmo cioè continuare a fare ciò che vogliamo, solo che sarà qualcun altro a decidere cosa vogliamo» (Antonio Polito, Il muro che cadde due volte, Solferino). Per difenderci dovremo diventare più consapevoli, più informati e meno ingenui. Come abbiamo disciplinato l’uso di stampa, radio e tv, dovremo regolamentare anche il mondo digitale, visto che la politica è ormai «una lotta per il controllo dei dati». I nostri dati personali. E magari scendere insieme in piazza, perché i rapporti personali reali sono più importanti di quelli virtuali. In una parola: «Non basterà continuare a votare per salvare la democrazia». E la libertà.

Frase in evidenza
Le persone insicure preferiscono leader autoritari (Le Scienze 11/2019)

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Come ti manipolo le elezioni

Negli Stati Uniti sale la febbre per le presidenziali del 2020. E sale anche la preoccupazione che qualche potenza ostile possa influenzare i risultati.

Campagne social
Riguardo alle elezioni del 2014, gli elettori di Trump affermano: «Lo abbiamo portato al potere a forza di memi […]. Abbiamo diretto la cultura». Un meme è un’idea, uno stile di vita imitabile, uno slogan, una battuta, una cattiveria, qualsiasi «unità di trasmissione culturale» che diventi virale in Rete o nel passaparola. Può essere vera, falsa o parzialmente vera. L’importante è che si imprima nella mente della gente e venga condivisa sui social perché è simpatica o provoca indignazione, o rivela un complotto, o prende in giro qualcuno, o è costruita con immagini che fanno colpo. La gente la diffonde perché così si sente protagonista, «in sintonia con gli altri». Non riflette sul contenuto, la condivide velocemente solo perché genera un’emozione. Di solito i memi sono basati sulla polarizzazione (bianco o nero, sì o no, amico o nemico, senza sfumature) e sull’odio (esplicito o sotterraneo), per aumentare le divisioni e lo scontro nella società. Studiando come le persone rispondono ai memi, se li diffondono e a chi, è possibile costruire un “profilo personalizzato” di ogni elettore. A quel punto è facile condizionare il suo voto, con messaggi mirati e una disinformazione invadente, sottile e persuasiva. Il primo consiglio per reagire? Parliamo insieme, di persona, di ogni argomento, ascoltandoci fino in fondo anche se abbiamo idee diverse.

Alterare i risultati
Ci sono molti modi per imbrogliare durante le elezioni. Gli ultimi sviluppi della tecnologia hanno spalancato un mondo di possibilità. Si parte dal furto di identità in Rete, per scoprire i punti deboli dell’avversario e diffondere video truccati: gli si mettono in bocca parole che non ha mai pronunciato. Si continua alterando i dati relativi alle votazioni (quanti computer della Pubblica amministrazione sono difesi dagli hacker?) o col furto dei dati personali di iscritti a un partito politico o di un gruppo etnico, per campagne social mirate. Si possono addirittura inserire voti falsi nei computer elettorali, modificando i conteggi finali. La cosa tragica è che, siccome queste falsificazioni sono possibili, un candidato che voglia invalidare un’elezione in cui ha perso, basta che diffonda il “sospetto” che ci sia stata manipolazione elettronica dei risultati. Come salvarsi? Continuando a basare il sistema di voto su schede cartacee che possono essere ri-controllate e ri-conteggiate a mano in caso di contestazioni. In Italia per fortuna le abbiamo ancora.

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