Tebaldi, voce d’angelo

La definizione è di Toscanini, artista affatto incline alla piaggeria. Eppure mai definizione è stata più sincera e giusta. Perché la signorina Renata, come ha sempre amato esser chiamata, ha posseduto in dono da Dio – lo affermava spesso – uno strumento che l’ha resa una delle voci più belle del secolo scorso. Volume intenso, timbro limpido, meraviglioso registro centrale, legato dolce, cantava senza apparente sforzo, da quando, ragazza ancora, Toscanini l’aveva voluta nel Requiem verdiano per la Scala ricostruita (1946), aprendo così la strada ad una carriera vertiginosa, cosmopolita. La Scala e il Metropolitan di New York sono stati i suoi grandi amori e i luoghi di lunghi successi, anche se a Milano il duello artistico con la Callas l’aveva quasi costretta ad un esilio americano. Ma è alla Scala che nel 1976, con una voce intatta, aveva donato il suo concerto d’addio, per beneficenza. Un teatro sempre amato, dove tornava puntualmente, con gesti di cortesia, delicati e pronti, nei confronti degli interpreti, ultimo il prediletto Riccardo Muti. Ora, a 82 anni, questa signorina se n’è andata, senza disturbare nessuno. Coerente con una vicenda umana sobria e riservata – l’esatto opposto della pseudo rivale Callas – in cui comunque era stata una vera diva: amatissima dai fans, signorile nell’aspetto e nel tratto, consapevole di uno strumento che, mantenuto fresco con autentica disciplina, le aveva permesso di spaziare attraverso un repertorio vastissimo: Puccini, Verdi, Wagner, Gounod, Massenet, i veristi nostrani, in pratica l’intera gamma possibile ad un soprano lirico. Fra i tanti personaggi, tuttavia, forse ce n’erano due in cui si immedesimava maggiormente e che mettevano in luce la sua luminosità vocale: Mimì, la gaia fioraia dolce e triste di Bohème, e Desdemona, l’innamorata fedele e abbandonata di Otello. In queste figure in qualche modo verginali la Tebaldi lasciava trasparire qualcosa in più oltre la ferma purezza del fraseggio e l’incisività del canto: in lei, che come donna aveva conosciuto il dolore, ma lo sapeva sublimare con l’arte, le due eroine trovavano una verità di accento, che non poteva solo esser frutto di un’interpretazione, per quanto accorta e studiata. Era amore totale? Forse sì. E in questo sta anche il punto d’incontro con l’altra diva, cioè Maria Callas – il suo vero pendant musicale -, donna più tragicamente infelice e dallo stile meno armonioso ed elegante, ma come la Renata ugualmente grande. Discografia: fra le numerose incisioni, si consigliano: La Bohème, direttore Serafin; Otello, dir. von Karajan; Andrea Chènier, dir. Gavazzeni; Tosca, dir. Mitropoulos. FESTIVAL RUSSO Roma, Accademia Nazionale Santa Cecilia. Difficile non definire evento una rassegna che ha visto una sfilata di talenti unici: il pianista Alexander Toradze, sempre infocato per un tutto Rachmaninov; due direttori come Valery Gergiev e Yuri Temirkanov, un ex enfant prodige come Evgenij Kissin (su cui torneremo in seguito). Di Gergiev, interprete carismatico quasi da brivido, alla guida della sua Orchestra del Teatro Mariinskij – ori cangianti degli ottoni, velluti dei bassi dietro al gesto impetuoso – si è offerto un Ciaikovskij brillante all’esterno ma teso all’interno (Sinfonia n.4) ed un esotico Rimskij-Korsakov, sublime orchestratore in Shéhérazade. Termirkanov, con i complessi dell’Accademia, ha trasmesso emozioni mai spente in una serata ballettistica: una sua versione dal Lago dei cigni di Ciaikovskij (memorabile l’oboe di Marco Salvatori nella prima scena), seguita da Glinka (Valse-fantasia, danze da Ruslàn e Ljudmila) dove finezza francese ed echi russofoni si accompagnano grazie all’uso fantasioso dell’orchestra; infine, le celebri Danze Polovesiane dal Principe Igor, per coro e orchestra, in cui un Borodin tra languori e barbarismi apre una spia in più sull’anima russa. Se Gergiev è vulcanico, Temirkanov è d’acciaio, flessibile e arcuato nel gesto, ma compatto. Distinte visioni della civiltà russa, immensa ma anche visceralmente complessa e, alla fine, malinconica, offerte da interpreti d’eccezione. Successo incondizionato di pubblico straripante.

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