Tanti capi, rari leader

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Non è stata, in verità, un’idea geniale. Piuttosto, una scelta facile facile. Stilare un elenco dei veri leader oggi viventi sarebbe stata ricerca molto più ardua che approntare la classifica dei tiranni del pianeta. Così, il settimanale statunitense The New Republic ha assegnato la palma del despota dell’anno a Kim Jong Il, suprema guida della Corea del Nord. Lo seguono in graduatoria un volto poco noto, quello di Alexander Lukashenko, presidente della Bielorussia, che ha scavalcato vecchie conoscenze, come Muhammar Gheddafi, padre della Libia, Robert Mugabe (Zimbabwe), l’inossidabile cubano Fidel Castro, il debuttante presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e il generale Than Shwe, al potere, con una giunta militare, nel Myanmar, l’ex Birmania. D’altra parte, se fate una ricerca su Internet, inserendo la parola leadership (capacità di comando), troverete oltre dieci milioni di voci. Se vi spostate su una delle tante librerie accessibili tramite computer, l’elenco dei titoli supererà quota 10 mila. Senza che vi ostiniate a passarli tutti in rassegna, se ne ricava subito che tanta abbondanza segnala una grande penuria. Ci sono pochi leader. Nella politica e nella cultura – precisano gli esperti – difettano persone capaci di avere una visone alta e una solida ispirazione. Le società e le aziende sono in cerca di guide efficienti e maggiormente ancorate ai valori fondamentali, mentre nelle associazioni e in famiglia servono persone più capaci di relazioni personali autentiche e con fiducia in sé stessi. Cerco l’uomo, spiegava Diogene, con tanto di lanterna in mano, nel quarto secolo avanti Cristo. In quest’inizio del nuovo anno, non basterebbero inserzioni sugli annunci economici dei quotidiani per trovare qualche leader a denominazione d’origine controllata. Il 2006 potrebbe essere infatti un altro anno del XXI secolo del tutto normale se non fosse per un motivo. Sarà un anno pieno di vuoti di potere, ha dichiarato Moises Naim, direttore del noto mensile Foreign Policy (Politica estera). Ovviamente mi riferisco al potere politico, forte, legittimo, che in quest’anno scarseggerà proprio quando ve n’è disperatamente bisogno. In effetti, alcuni leader politici, come Blair e Chirac, sono alla fine del proprio mandato. Il tedesco Schroder, dopo la sconfitta elettorale, ha salutato la compagnia, e il nuovo cancelliere Angela Merkel sarà tutta presa da una coalizione tanto grande quanto difficile da gestire. Nell’anno in corso, il brasiliano Lula potrebbe essere riconfermato alla presidenza, così come Berlusconi a Palazzo Chigi, ma entrambi non godono più della popolarità di un tempo. La vicenda della Terra Santa, dopo Arafat e Sharon, procede all’insegna della precarietà. Il Giappone, seconda economia mondiale, dovrà salutare nel prossimo settembre il sessantreenne primo ministro Junichiro Koizumi, che lascerà l’incarico di governo, come prevede lo statuto del suo partito. In America Latina, nel giro di un anno, si svolgeranno ben sedici elezioni presidenziali. Le accese campagne elettorali non faciliteranno la stabilità dell’area. Le potenze emergenti all’orizzonte, Cina, India, Russia e Brasile, poggiano su basi ancora fragili e sono, per il momento, più concentrate su preoccupazioni regionali che sulle grandi questioni globali, riconosce Filippo Andreatta, do- cente di relazioni internazionali all’università di Bologna. Di Bush, infine, si costata un crescente isolamento e un consistente calo di consenso. Se poi guardiamo agli organismi sovranazionali, l’anno appena chiuso ci ha lasciato in eredità un Onu con evidenti difficoltà ad autoriformarsi, un’Organizzazione mondiale del commercio, uscita con poco frutto dall’ultimo vertice ad Hong Kong, mentre l’Unione europea ha subìto la bocciatura referendaria del Trattato Costituzionale. Mancano visioni strategiche lungimiranti – compendia Andreatta -. L’augurio è quello di trovare leadership autorevoli e con una chiara visione del futuro. Una parola! Anche in economia i segnali non sono dissimili. Scandali recenti hanno piegato alcune delle più grandi multinazionali americane (Enrom e WorldCom). E non di meno è accaduto nella nostra Penisola, con Cirio e Parmalat, sino alle recenti e tristi vicende tra aziende di credito, cooperative, Banca d’Italia. In tutti questi casi, la dirigenza ha dato prova di miopia e inaffidabilità, generando tra gli operatori e tra i risparmiatori incertezza e sfiducia. I presunti leader hanno mostrato la pochezza delle loro visioni strategiche. Il punto è che per capire e per decidere bene occorre uno sguardo lungo. Solo questo – precisa Tommaso Padoa-Schioppa, economista, già membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea – permette di non arrivare impreparati agli eventi. Le previsioni dell’economista e le decisioni del governo tendono, invece, a non guardare oltre l’orizzonte breve dei modelli o le scadenze delle prossime elezioni.Motivo? Guardando più lontano, specialisti e politici mettono a repentaglio quanto hanno di più caro, il prestigio scientifico e il potere. Eppure, solo scrutando il paesaggio nebbioso del dopodomani si possono predisporre soluzioni non troppo dolorose alle difficoltà che ci stanno venendo incontro. Nel nostro amato Bel Paese, le ultime indagini segnalano una ripresa di fiducia nelle istituzioni, ma non verso i leader dei partiti. Il 57 per cento degli italiani (l’8 per cento in più rispetto ad un anno fa) attende un uomo forte in politica. Attenzione – avverte Ilvo Diamanti, docente di scienza politica all’università di Urbino -, non segnala una sindrome autoritaria. Semmai, voglia di autorità. Di governo. Che Berlusconi non ha soddisfatto. A cui i leader dell’opposizione, oltre a quelli della maggioranza, non sembrano in grado di rispondere. Questo spiega il significato del consenso plebiscitario riservato ad un anziano gentiluomo, inquilino del Quirinale. Ciampi ha sempre goduto di grande stima – riconosce Diamanti -. Ma mai come oggi. Ottiene la fiducia da persone equamente distribuite fra destra e sinistra. Oggi appare un riferimento condiviso. Forse l’unico. Destinato a rimanere ancora per pochi mesi. Purtroppo. Scade tra breve il suo settennato, e sostituirlo non sarà operazione di poco conto. Tanto che, come ricorderete, alcuni hanno proposto un Ciampi-bis. Domanda: resteremo, allora, orfani della dirittura morale di Carlo Azeglio? Figure autorevoli, secondo gli osservatori, non si vedono all’orizzonte. Né in politica, ma nemmeno in economia e nell’ambito culturale. Non consola molto costatare che identica penuria affligge pure il resto del pianeta. Ma se è vero che un buon popolo è premessa per un buon governo , magari questo vale anche per futuri leader. Non è secondario allora porre attenzione ad alcuni segnali che anche il recente Rapporto sul paese elaborato dal Censis ha messo in luce. Cresce la voglia di partecipare degli italiani, sia nell’associazionismo e nel volontariato sociale, sia nei diversi spazi della realtà locale. Il territorio circostante (compresi i quartieri nelle grandi città) è diventato punto di riferimento, fattore di socializzazione e d’impegno. Anche l’ambito politico è nuovamente investito da una propensione all’esserci. Le elezioni primarie dello scorso ottobre in seno all’Unione ravvisano, per gli esperti, un’inconfutabile prova. Si è parlato, al riguardo, di un ponte tra società e politica, che molti cittadini hanno attraversato di corsa. Secondo alcune indagini, il 70 per cento dei cittadini valuta positivamente le esperienze di democrazia partecipativa a livello locale. Una persona su due afferma di essere disponibile a farsi coinvolgere. Segnali da non lasciare cadere, pur in questa lunga e logorante campagna elettorale. In attesa che spuntino dei leader. Quelli veri. La sociologa Araujo INCOMINCIAMO CON PERSONE PREPARATE Nel panorama internazionale sembra proprio che non ci siano grandi leader. E c’è bisogno anche di buoni politici , afferma la sociologa Vera Araujo. Cosa contraddistingue un leader? La capacità di vedere là dove altri non vedono, cioè riuscire a intuire dalla situazione attuale i cambiamenti imminenti e il loro esito, indicando alla gente il cammino da percorrere per affrontare i mutamenti attesi. Le cose che dice hanno autorevolezza in sé per il carisma che la persona emana, per cui la gente accoglie quello che dice. I capi dicono le cose ma nessuno le fa. Il carismatico sa farsi ascoltare a tal punto che la gente aderisce e agisce di conseguenza. Questo vale non solo in politica. Vale in ogni ambito, religioso, economico, culturale che sia. Il più grande leader vivente? Nelson Mandela. Un carismatico assoluto. Perché mancano leader? Penso dipenda dal calo culturale globale. Un leader non viene fuori senza un terreno culturale, morale, spirituale all’altezza dei tempi. Come ovviare alla penuria di leader? Intanto incominciamo ad ovviare alla mancanza di autentici professionisti, di politici, di economisti, di sociologi seri, di scienziati veri. E questo rimanda ad una questione cruciale del nostro tempo, quella dell’educazione, della formazione, della cultura. Le agenzie educative – famiglia, scuola, università – sono in crisi profonda. I sociologi sono concordi nell’affermare che la scuola oggi non educa e non forma, né moralmente, né culturalmente. Veicola informazioni e dati, ma non plasma personalità, non forgia uomini. Ancora possibile rimediare? Per me, ci vuole una rivoluzione culturale. Le innovazioni sinora apportate nelle agenzie educative sono tutte in senso tecnocratico, manageriale. Bisogna invece riappropriarsi dell’esperienza dell’accademia, dove si insegna il sapere, si insegna a pensare, si insegna a intuire. Scarseggiano i leader e difettano le agenzie formative. Un quadro confortante. Non dimentichiamo che i leader veri, quelli carismatici, sorgono sempre senza che qualcuno li preveda. Le possi- bilità dell’umanità sono infinite, anche quando il contesto, come in questo periodo, non è favorevole. Allora, leader si nasce e si diventa? Certamente, si nasce. Ma è indispensabile creare le condizioni perché possa sviluppare certe doti e maturare la sua sensibilità. La maggioranza dei leader nella storia ha vissuto sin dall’infanzia in un contesto moralmente e culturalmente robusto. SIETE UN LEADER? Un direttore d’orchestra è di solito un buon musicista, ma di rado un esecutore di fama mondiale. I rettori più capaci spesso non sono i professori più bravi. L’abilità di dirigere, coinvolgere gli altri e raggiungere obiettivi coincide di rado con la capacità di esprimere appieno le capacità professionali. Tom Peters, statunitense, è uno dei maggiori esperti di formazione dei dirigenti aziendali. Per lui, vale il motto di Napoleone: Il primo compito di un leader è mantenere viva la speranza. Per cui, chi ha bisogno di tenere tutto sotto controllo senza ansie e problemi è fuori gioco. Attenti, però, perché per diventare un vero leader non bastano l’intelligenza e la bravura, non serve l’autoritarismo, avverte Daniel Goleman, uno dei più apprezzati consulenti. Il compito fondamentale dei leader è innescare sentimenti positivi nelle persone che li circondano, coinvolgere i collaboratori, farsi stimare . Il leader non è soltanto il manager in senso stretto. Si può esserlo pure a scuola o in associazione. Tra i formatori di leader aziendali circola una sorta di decalogo: imparare a scegliere i propri uomini; sapere sempre infondere la speranza; non imporre comportamenti inutili; dare il meglio nelle condizioni peggiori; essere capaci di cambiare i propri piani; gestire bene le diversità; concentrarsi sui mezzi disponibili senza recriminare; riconoscere e rispettare i ruoli; ricordare che le difficoltà sono solo ostacoli da superare. Auguri.

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