Tangentopoli, i giudici e la corruzione

La scomparsa del magistrato Gerardo D’ambrosio, simbolo della lotta alla corruzione al tempo di Mani pulite, ripropone la questione non risolta di un male sociale
Il magistrato Gerardo D'Ambrosio

La notizia della scomparsa di Gerardo D'Ambrosio, già capo del pool dei Pm di Milano che indagarono su Tangentopoli, al di là del doveroso cordoglio ripropone domande sul fenomeno della corruzione. Poiché è attestato da più fonti ufficiali, e in particolare dal massimo organo della giustizia contabile dello Stato – la Corte dei Conti –, che la corruzione continua ad esistere e soprattutto non si riesce finora a fermarla, è lecito domandarsi: che cosa è cambiato rispetto alla situazione esistente all'epoca di Tangentopoli? Perché l'azione di Mani pulite non è riuscita a debellare la corruzione e perché non si riesce tuttora?

Tangentopoli fu caratterizzata dal fatto che essa serviva, anche se non solo, al finanziamento illecito dei partiti. Inoltre, la corruzione era finalizzata a procurare appalti a grandi imprese, le quali assicuravano anche il lavoro oltre ad avere il proprio profitto. Insomma c'era un intreccio tra politica ed economia.

È in tale nodo che si trova fondamentalmente l'origine del grande debito pubblico; ma questo tornava utile per sostenere la competizione politica, soprattutto in funzione anticomunista sul piano interno e in funzione antisovietica sul fronte esterno. Ovviamente non bisogna credere che Tangentopoli servisse solo ai partiti; era anche indubbiamente fonte di arricchimenti privati illeciti. Il successo di Mani pulite fu dovuto anche al fatto che molti imprenditori, coinvolti nel fenomeno corruttivo, collaborarono allo scopo di sottrarsi al pesante fardello delle "tangenti".

Successivamente, gli scenari sono mutati. La corruzione è diventata un fenomeno diffuso a livello sociale e coinvolge sia settori del mondo economico, che si procurano affari con tale modo illecito, sia larga parte dei cittadini, per i quali ottenere favori non dovuti da parte di pubblici amministratori e funzionari pubblici è diventato quasi un costume accettato. È questo fondamentalmente il motivo per cui riesce molto difficile debellare questa prassi che perverte i rapporti pubblici. La legge Severino contro la corruzione ha previsto strumenti repressivi e preventivi, ma, come tutte le leggi, deve riposare sul consenso sociale per divenire efficace.

                                                                                      

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