Sulle rive della Neva

“All’inizio di luglio, in un periodo eccezionalmente caldo…”: così Dostoevskij incomincia Delitto e castigo, il romanzo ambientato nella San Pietroburgo della seconda metà dell’Ottocento, che lui conosceva così bene. Forse non è subito evidente che la città fondata da Pietro il Grande sui margini del mare Baltico, ad una latitudine di 60 gradi, possa essere caratterizzata da un caldo molesto, ma in certe giornate di sole, con temperature oltre i 30 gradi ed un alto tasso d’umidità, come anche quest’anno, si riesce bene a cogliere l’atmosfera descritta dallo scrittore. Il centro storico di San Pietroburgo, del resto, non è molto cambiato, e si possono vedere ancora le case ed i luoghi che hanno ispirato alcuni dei racconti di Dostoevskij. San Pietroburgo, o Pietroburgo, come lui preferiva chiamarla, o ancora “Piter”, come attualmente la chiamano quasi tutti i cittadini, ha compiuto 300 anni, celebrati senza badare a spese, come si usava in altri tempi nella Russia degli zar. È una delle poche città al mondo che ha un giorno preciso di fondazione, il 27 maggio del 1703, quando Pietro I, dopo aver strappato il territorio alla corona svedese, iniziò la costruzione della prima casa in mezzo alla palude sulla foce della Neva. Dopo le commemorazioni del maggio scorso, San Pietroburgo, si presenta ai visitatori “con la faccia pulita”. “Hanno ridipinto le facciate e sistemato le strade”, si sente spesso ripetere quando si cerca di sapere cosa pensano i pietroburghesi su ciò che è stato fatto in preparazione al “giubileo”. Nel tono della risposta si possono cogliere qualche volta dei giudizi positivi, a sottolineare che questi lavori, anche se “di facciata”, da tempo erano necessari. Altri confessano che si aspettavano di più dal “cantiere” in cui è stata trasformata la città, nei mesi che hanno preceduto le celebrazioni. Per i festeggiamenti sono stati spesi infatti due miliardi di euro, “una cifra comparabile al budget annuale della città”, secondo Valentina Matvenko, rappresentante di Putin per la regione nord ovest della Russia e candidata (sostenuta dal Cremlino) a governatore della città nelle elezioni del 21 settembre. Se questa cifra sia grande o piccola, è difficile valutare, per una città di circa 5 milioni di abitanti, il 35 per cento dei quali vive ancora in appartamenti dove più famiglie condividono bagno e cucina. Queste cosiddette komunalki sono presenti soprattutto nel centro storico, dove il sistema sovietico ha trasformato le dimori signorili dei tempi imperiali in “falansteri” di convivenza in comune. Da Pietro a Putin Non tutte le città hanno diritto a celebrare gli anniversari “rotondi” – come dicono i russi – con la presenza di 46 capi di stato e di governo, e concerti a raggi laser. Nella stessa Russia, la città di Tomsk ha celebrato recentemente i 1100 anni d’esistenza senza avere ricevuto né la visita del presidente, né stanziamenti dal governo federale per miglioramenti di cui neppure si è potuto parlare. Il fatto è che Putin proviene da Pietroburgo, così come una parte rilevante dei membri del governo e dell’amministrazione del presidente. Di questi, non pochi avevano collaborato con lui precedentemente, sia al Kgb, sia al municipio di San Pietroburgo. Il ruolo eccessivamente secondario della “capitale del nord” nei confronti di Mosca non poteva essere gradito a questa nuova élite politica, e il presiÈ dente ha colto l’occasione dei 300 anni per dare un nuovo impulso alla “Venezia russa”. La “città più europea della Russia” è diventata così anche un simbolo della politica esterna di apertura al mondo occidentale che l’attuale regime sta portando avanti. Si potrebbe dire che San Pietroburgo sta assumendo il ruolo di salotto di rappresentanza, in confronto a Mosca che è rimasta città degli uffici e del lavoro. Non sono poche le visite ufficiali che prevedono una parte più distensiva e culturale del proprio programma a San Pietroburgo, ed alcuni illustri visitatori, come il principe Carlo dell’Inghilterra, o il principe Alberto di Monaco, hanno di recente onorato con la loro presenza solo la città di Pietro I. Turismo non uguale per tutti In confronto con Mosca, Pietroburgo sembra affollata di turisti. Arrivano in gruppi dappertutto, alla cattedrale di Sant’Isacco, all’Ermitage, alla Fortezza; camminano lungo la Prospettiva Nievski e riempiono i traghetti che percorrono i canali del- la città. Ci sono anche moltissimi visitatori russi, venuti da tutti i punti del paese per conoscere le meraviglie della città che Pietro ha voluto creare secondo il modello della sua amata Amsterdam, ma più in grande. Pietroburgo ha circa 600 ponti, dei quali 21 si aprono in orari prestabiliti (sempre di notte) per permettere il passaggio delle navi di maggior tonnellaggio. Nonostante alcuni progressi fatti in materia di strutture alberghiere e di ristoranti, nonché il crescere accelerato dei fast food, l’opinione degli esperti è che Pietroburgo soffre ancora di una notevole mancanza di strutture turistiche. Si fanno inoltre rilevare certe tradizioni sovietiche poco simpatiche, come la continua distinzione tra stranieri e russi (qualche volta estesa ai cittadini della Comunità degli stati indipendenti), in materia di prezzi. Se in alcuni casi, come musei e palazzi, sussidiati dalle casse statali, si può ancora capire una tale discriminazione, in altre strutture di tipo commerciale, come i traghetti che portano dal molo dei Palazzi (davanti all’Ermitage) al parco di Peterhoff, sentir dire che il costo per i russi è di 400 rubli, che diventano 800 per gli stranieri, difficilmente si riesce ad interpretare come un “messaggio” di benvenuto. Iniziative d’alto livello Eppure Pietroburgo ha ricchezze che fanno dimenticare anche questi “prezzi speciali”, le lunghe file e gli assembramenti di gente. Grazie alle “tariffe per gli stranieri” è possibile procurarsi, senza grande anticipo, biglietti per gli straordinari balletti del Mariinsky (il celebre Kirov dei tempi sovietici). Il programma speciale del teatro per l’anno del giubileo includeva alcune delle più prestigiose compagnie di balletto del mondo come il “Royal Ballet” di Londra e il “New-York City Ballet”. Nonostante il Mariinsky abbia una delle più belle sale di spettacolo, è in corso un progetto per la co- struzione di un nuovo teatro ultramoderno che sorgerà dietro all’attuale, oltre il canale Kriukov. Il direttore artistico del Mariinsky, il maestro Valerij Gherghiev, ci ha comunque rassicurato che “il vecchio teatro non ne risentirà”, e rimarrà in funzione. Iniziative speciali per il giubileo sono state previste anche all’Ermitage. Nel compleanno di San Pietroburgo il museo è rimasto aperto 24 ore con ingresso gratuito. Sono state restaurate varie sale e inaugurate nuove esposizioni, tra cui una dedicata a Pietro I, quale fondatore della città. Il nuovo ingresso principale nel cortile del Palazzo d’Inverno, una volta residenza degli zar, può finalmente accogliere i visitatori. Anche qui, il “trattamento speciale per stranieri”, permette (ovviamente ad un prezzo diverso) di entrare nell’Ermitage facendo una fila notevolmente più corta di quella dei cittadini russi, la quale, in certi giorni attraversa tutto il cortile e arriva quasi alla colonna dell’Angelo, in mezzo alla Piazza del Palazzo. Com’è tradizione nelle feste d’anniversario non potevano mancare i regali. Pietroburgo ne ha ricevuti un’infinità da tutte le parti del mondo. Nel giardino del “Maneggio”, vicino alla via Italiana, si trova il dono del governo italiano alla città di Pietro. Sono i busti degli architetti che hanno dato il loro contributo all’edificazione della città, tra cui Carlo Rossi, che ha progettato il teatro di Alessandro, il primo di Pietroburgo, e Francesco Rastrelli al quale si deve nientemeno che il progetto del Palazzo d’Inverno. NATA QUI LA LETTERATURA RUSSA C’è una città che, come altre al mondo, ma forse più di molte altre, appartiene alle categorie dello spirito.Tale infatti appare a chi l’abbia conosciuta per la prima volta attraverso le descrizioni appassionate che ne hanno fatto alcuni dei suoi figli più grandi. È San Pietroburgo, che ha trovato in Puskin, in Gogol, in Dostoevskij, in Brodskij i suoi migliori illustratori. Essi ce l’hanno descritta, nel bene e nel male, con tali trasfiguranti accenti di verità sofferta da fare apparire bello anche il dolore e, paradossalmente, il male, come talora accade. Cosa rimanga, di questo fascino segreto, a disposizione di chi la visiti oggi, dopo le molte mani di stucco e di vernice e le patine d’oro che le hanno rifatto il trucco, è difficile dire. Certo, il milione di morti per il grande assedio di appena poco più di mezzo secolo fa non può essere dimenticato di colpo, come la vita stentata dei sopravvissuti durante il lunghissimo inverno del socialismo reale. Converrà dunque riandare a Brodskij che, fra i grandi, è il testimone più recente, per scegliersi un compagno che ci introduca a scoprire questa città ancora giovane, fra le capitali culturali europee, ma ricca già di molte vite. “C’era una volta un ragazzino.Viveva nel paese più ingiusto del mondo. Che era governato da individui i quali da ogni punto di vista umano dovevano essere considerati dei degenerati. Il che non avveniva mai. E c’era una città. La più bella città sulla faccia della Terra. Con un immenso fiume grigio il quale era sospeso sopra il suo alveo remoto come l’immenso cielo grigio sopra quel fiume. Lungo quel fiume sorgevano magnifici palazzi con facciate stupende, così ben rifiniti che se il ragazzino stava sulla riva destra la riva sinistra somigliava all’impronta di un gigantesco mollusco chiamato civiltà. Che aveva cessato di esistere (“). “In definitiva, il rapido accrescersi della città e del suo splendore va attribuito prima di tutto all’onnipresenza dell’acqua. La Neva, scorrendo per venti chilometri, biforcandosi proprio nel centro della città, alimentando i suoi venticinque tortuosi canali grandi e piccoli, fornisce a questa città una tale moltitudine di specchi che il narcisismo diventa inevitabile. È come se la città, rispecchiata ogni minuto secondo da migliaia di metri quadrati di amalgama di argento liquido, fosse costantemente filmata dal suo fiume (“). “Ma forse, più che nei suoi canali e fiumi, questa città estremamente “premeditata”, come l’ha definita Dostoevskij, si è rispecchiata nella letteratura russa. Perché l’acqua può parlare solo di superfici, e di superfici scoperte. La raffigurazione degli interni fisici e mentali della città, del suo impatto sugli abitanti e sul loro mondo interiore, divenne il tema principale della letteratura russa fin dal giorno stesso della fondazione della città. In senso strettamente anagrafico la letteratura russa è nata qui, sulle rive della Neva. Se, come si dice, tutti gli scrittori russi “sono usciti dal ‘cappotto’ di Gogol”, vale la pena di ricordare che questo cappotto fu strappato dalle spalle di quel povero impiegatuccio proprio qui, a San Pietroburgo, agli albori dell’Ottocento. Il la, tuttavia fu dato da un poemetto di Puskin, Il cavaliere di bronzo (“). “La ragione di una così improvvisa esplosione di vigore creativo fu, ancora una volta, prevalentemente geografica. Nel contesto della vita russa di quei giorni l’avvento di San Pietroburgo era paragonabile alla scoperta del Nuovo Mondo: offriva agli uomini pensanti un’occasione per guardare a sé stessi e a tutta la nazione come dall’esterno. In altre parole, questa città dava loro la possibilità di oggettivare il paese” (1). G.G. 1) Da Meno di uno e Guida a una città che ha cambiato nome di Iosif Brodskij, ed. Adelphi.

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