Sulcis Iglesiente: 3600 firme contro le armi

La petizione per la riconversione del settore delle armi (firma qui), le “industrie del peccato”, l’azione del comitato locale, il ricatto occupazionale, l’inerzia delle istituzioni.

Il nostro giornale segue da vicino la vicenda dello stabilimento che nei comuni sardi di Domusnovas Iglesias produce bombe per aereo dal 2001 per conto del gruppo tedesco Rheinmetall. Sosteniamo il Comitato, nato nel maggio del 2017, che fa parte della cordata di singoli e associazioni, diffusa non solo in Italia, che da tempo propone la riconversione a fini civili della fabbrica del Sulcis (e non solo: vedi qui, qui e qui)

Questa rete attraverso l’azione del comitato locale che si è significativamente chiamato “Comitato Riconversione RWM per la pace ed il lavoro sostenibile” ha ripetutamente avvisato enti locali e governo del fondato pericolo che l’impresa si potesse trovare da un momento all’altro a mandare a casa operai e tecnici, ma le logiche del calcolo e della distorsione della visione strategica nelle politiche di sviluppo ed occupazionali hanno impedito di aggiungere risultati alle tante promesse di soluzioni alternative ricevute.

L’azienda nel luglio scorso ha “improvvisamente” sospeso il contratto per 200 lavoratori precari e ha avviato la cassa integrazione in deroga per circa 100 dipendenti a tempo indeterminato.

Come affermano i portavoce del Comitato, Cinzia Guaita e Arnaldo Scarpa: «Abbiamo bisogno di lavoro, ma di lavoro degno e carico di senso, non di un lavoro di cui doversi vergognare».

Per questo da agosto è stata lanciata una raccolta di firme per la riconversione della Rwm chiedendo al Presidente del Consiglio Conte e al governo nazionale, impegnati nella ripartenza post crisi pandemica, di intervenire nell’ottica di una politica industriale del risanamento capace di orientare le imprese verso i settori che possono garantire produttività e sostenibilità ambientale a lungo termine.

Continuano Cinzia e Arnaldo: «È triste dirlo, ma a nulla è valsa finora, sul piano occupazionale, la fervente attività del comitato che da anni lavora sulla possibilità di convertire l’economia di guerra, che corrisponde alla produzione di bombe, in attività pacifiche, durature e buone per l’ambiente, perciò il gruppo di associazioni locali e nazionali, a cui aderisce anche il movimento dei focolari, ha indetto una petizione al governo Conte perché sostenga l’occupazione, promuovendo la riconversione».

Alla petizione hanno finora aderito oltre 3600 persone cittadini, politici professori. Ascoltiamo alcune di loro esporre le ragioni di un impegno in prima persona, che vuole essere anche una polifonia di voci.

«Non tutti i lavori sono uguali, non tutte le industrie sono uguali, non tutte le attività che producono ricchezza producono anche valore, perché sappiamo che esistono industrie, che non a caso vengono definite “sin industries”, “industrie del peccato” che, mentre producono ricchezza per gli azionisti, contemporaneamente distruggono valore e creano grandi costi sociali per il resto della società, sono le grandi imprese che operano nei settori del tabacco, dell’azzardo, degli alcolici e maggiormente in quello delle armi», dichiara Vittorio Pelligra, professore di Politica Economia all’Università di Cagliari e curatore della rubrica domenicale de Il Sole 24 Ore “Mind the Economy”.

Pelligra aderendo alla petizione invita «a sfuggire alla logica ricattatoria del posto di lavoro qualunque esso sia. Ci sono già troppi lavori senza senso e molti socialmente dannosi. Questi non vanno tutelati, vanno trasformati. Occorre tutelare il lavoratore, non il posto di lavoro, tanto più se questo viene trattato come un oggetto di scambio in un processo di acquisizione di consenso politico, in un territorio con una disoccupazione altissima».

Tantissime le associazioni sarde e nazionali, impegnate contro la guerra, evidenziano la necessità di conservare i posti di lavoro per produrre beni di utilità sociale e non armi, come Carlo Bellisai rappresentante sardo del Movimento non violento che sostiene: «Il diritto al lavoro ed il diritto alla pace possono (e devono) convivere se le produzioni vengono orientate verso beni necessari alla vita, beni primari come l’alimentazione e le cure per la salute, ma anche beni culturali e artistici, utili alla crescita morale ed esistenziale delle persone ed al miglioramento delle relazioni umane. Quando il lavoro serve alla costruzione di prodotti orientati alla distruzione e al genocidio, non è un lavoro degno di questo nome».

Riprende e sottolinea questa visione Teresa Piras presidente e fondatrice del sodalizio di cui parla: «Ci sembra intelligente e saggio non scegliere la via della distruzione, producendo strumenti di morte, che generano disperazione, sofferenza e alimentano focolai di odio e di violenza tra i popoli, Da più di 20 anni, insieme ad un gruppo di donne e uomini di buona volontà, noi del Centro Sperimentazione Autosviluppo, ci impegniamo in prima persona a valorizzare la nostra creatività e quella delle generazioni che ci hanno preceduto. Ispirandoci ai principi dell’economia non violenta, abbiamo scritto la carta dell’autosviluppo eco-solidale per avviare un percorso di cambiamento personale, culturale, sociale ed economico del territorio».

La petizione popolare, come evidenzia Graziano Bullegas, presidente di Italia Nostra Sardegna, «rappresenta di fatto un richiamo al Governo perché rinnovi l’embargo della vendita di armi all’Arabia Saudita, dando piena applicazione alla Costituzione Italiana (art. 11), alle sue leggi (L. 185/90), al Trattato sul commercio delle armi dell’ONU del 2.4.2013 e a numerose risoluzioni del Parlamento Europeo, tra le altre quella del 4.10.2018 sulla situazione nello Yemen. È inoltre un richiamo agli Enti Locali competenti: Regione, Provincia, e Prefettura perché anche le multinazionali che producono ordigni di morte rispettino le leggi, le direttive europee e le norme in vigore, incluse quelle sulla partecipazione dei cittadini alle scelte che interessano la comunità».

Al riguardo, emblematica la vicenda dell’iter di approvazione dell’ampliamento dello stabilimento Rwm nel quale è stato sistematicamente negato il diritto delle comunità locali al coinvolgimento in quanto parte in causa nelle scelte che le colpiscono.

Associazioni e cittadini sono stati regolarmente esclusi da ogni processo partecipativo e impedito loro l’accesso agli atti, secretando buona parte dei documenti e rendendo, di fatto, meno trasparente il rilascio delle autorizzazioni. Tutto questo come afferma ancora Bullegas: «in contrasto con le direttive e le convenzioni europee, con la normativa italiana e quella della Regione Sardegna e con la stessa giurisprudenza, ribadiscono i promotori di un ricorso al TAR contro lo stesso ampliamento, che darebbe vita in Sardegna ad un polo bellico di rilievo internazionale».

Tra i nodi cruciali e quindi tra le ragioni più importanti delle sottoscrizioni della petizione riguarda c’è la rivendicazione e la difesa della dignità della popolazione del Sulcis Iglesiente: «È necessario che ad essa venga resa piena dignità di cittadinanza, affinché possa scegliere liberamente il proprio futuro e non debba più sottostare a nessun tipo di ricatto», conclude Bullegas.

Infine, Mario Bruno, già sindaco di Alghero, ora presidente internazionale del Movimento politico per l’unità, sostiene che «la Sardegna ha bisogno di un progetto di sviluppo che valorizzi la sua innata capacità di accogliere, la sua cultura, il suo saper fare, la bontà della sua terra, senza costruire armi di morte, proprio perché terra di pace e di armonia fin nel suo profondo. Certo la situazione è difficile, ci vuole il coraggio di un cambiamento che offra alternative a chi è costretto a produrre armi dannose e inutili per avere in cambio un posto di lavoro. Ma il lavoro è dignità, è vita per la propria famiglia e per la comunità, mai può essere barattato con strumenti che costruiscono morte».

La petizione è accessibile sulla piattaforma Change.org a questo indirizzo.

 

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