Continua la saga diplomatica ed economica tra l’amministrazione Trump e il Sudafrica. Al Sudafrica vengono imposti dagli Stati Uniti dazi doganali del 30%, mentre altri Paesi africani hanno ottenuto esenzioni. Diversi Paesi in tutto il mondo sono infatti riusciti a ridurre l’importo dei dazi attraverso altri impegni e accordi commerciali, comunque vantaggiosi per gli Stati Uniti. L’Unione europea, ad esempio, sembra riuscita all’ultimo minuto a ridurre la sua aliquota dal 30% al 15%.
Dopo aver denunciato l’applicazione dei dazi doganali da parte dell’amministrazione Trump, il Sudafrica ha proposto martedì 12 agosto a Washington un nuovo accordo commerciale che definisce “generoso”, e il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha dichiarato che «tutti i canali di comunicazione rimangono aperti al dialogo con gli Stati Uniti».
Il presidente sudafricano ha telefonato direttamente al presidente americano, Donald Trump, nel tentativo di disinnescare la crisi che i dazi Usa potrebbero generare. Il dialogo si è svolto mercoledì 13 agosto mattina, su iniziativa del presidente sudafricano. Per il presidente Ramaphosa, l’imposizione di dazi statunitensi al 30% minaccia settori chiave come l’agricoltura, l’industria automobilistica e il tessile, e va il più possibile evitata. Sarebbero a rischio circa 100 mila posti di lavoro. Ma senza un accordo rapido, le ripercussioni economiche potrebbero essere gravi per il Sudafrica.
Occorre rilevare, però, che i viticoltori e gli agrumicoltori sudafricani sono tra i più colpiti da questi nuovi dazi, soprattutto nella provincia del Capo Occidentale. E paradossalmente sono proprio quegli agricoltori afrikaner “bianchi” che Donald Trump aveva promesso a maggio di difendere dalla presunta “oppressione” del governo sudafricano.
Tuttavia, alcuni importanti economisti hanno fatto notare che molti prodotti sudafricani sono in realtà esenti da questi nuovi dazi, in particolare i minerali. «Queste sono di gran lunga le maggiori esportazioni verso gli Stati Uniti in termini di valore», spiega Azar Jammine, noto economista sudafricano e direttore della società di consulenza Econometrix. «Se li escludiamo [i minerali], le esportazioni interessate rappresentano in definitiva solo circa il 2,5% delle esportazioni sudafricane».
Secondo Jammine, le motivazioni degli Stati Uniti sono più politiche che economiche, e il margine di manovra in una trattativa del governo sudafricano con Trump è prossimo allo zero. Ciò è dovuto alle ripetute critiche rivolte dall’amministrazione Trump alla politica di rinnovamento del Sudafrica e alla sua posizione relativa al conflitto di Gaza. Di fronte alle pressioni americane, Pretoria è sempre rimasta ferma. Il ministro Khumbudzo Ntshavheni ha ribadito: «Il programma di trasformazione del Paese non è negoziabile».

Manifestazione a sostegno del popolo palestinese davanti all’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti a Pretoria, Sudafrica, 1° agosto 2025. Foto: EPA/KIM LUDBROOK via Ansa
Va inoltre ricordato che se gli Stati Uniti sono il secondo partner commerciale del Sudafrica, il primo è la Cina.
Ma non solo: il Sudafrica aderisce ai Brics, di cui è uno dei 5 Paesi fondatori (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). Dal 1° gennaio 2024 ai 5 fondatori si sono aggiunti altri 11 Paesi, e altri 16 hanno presentato richiesta di adesione.
I Brics rappresentano già fin d’ora il 46% della popolazione mondiale e il 29,3% del Pil globale. E si pongono in evidente alternativa ai Paesi del G7 (di cui fanno parte gli Usa).