Strage dei drusi: il Daesh c’è ancora

Ad as-Suwadyda i jihadisti hanno fatto più di 200 morti tra una poco conosciuta minoranza della regione. È la risposta all’offensiva delle truppe governative contro Tasil, dove si erano rifugiati. Possono colpire ancora, ma sono in rotta

Dopo la riconquista di Daraa e della regione più meridionale della Siria, ai primi di luglio, l’esercito governativo è arrivato a ridosso della piccolissima enclave del Daesh a Tasil, una ventina di villaggi trasformati dai jihadisti dell’ex Stato Islamico in una scuola di formazione e addestramento per 300 reclute dell’islamismo radicale. Si parla di un migliaio di jihadisti del Daesh asserragliati in quello che era l’ultimo loro territorio. Un bombardamento aereo governativo del 21 luglio scorso aveva aperto la strada alle truppe che in pochi giorni avevano occupato il territorio di Tasil e disperso i jihadisti. Ma, diversamente da quanto era successo a Daraa, dove i ribelli del Fsa e i combattenti qaedisti e dell’ex fronte al-Nusra avevano accettato la resa e il trasferimento a Idlib, una parte di quelli del Daesh è sfuggita tra le maglie dell’avanzata governativa.

Per i miliziani del Daesh, i nemici giurati sono in particolare quelli che loro definiscono musulmani eretici (sciiti e alawiti), apostati dell’islam (yazidi e drusi) e infedeli (ebrei e cristiani). La mattina di mercoledì 25 luglio, una cellula di combattenti Daesh ha messo in atto una vera e propria strage nel governatorato druso di as-Suwayda (Jabal al-Druz). La città di as-Suwayda si trova a circa 120 km a Sud di Damasco e 50 ad Est di Daraa, non lontano dal confine giordano, ed è la patria dell’eroe druso dell’indipendenza siriana dagli ottomani e dai francesi: Sultan Pasha al-Atrash. I 7 kamikaze (forse) sono penetrati senza farsi notare nel mercato della città (mezzo milione di abitanti) e di altri quattro villaggi circostanti, facendosi poi saltare quasi contemporaneamente in mezzo alla folla dell’ora di punta, provocando la morte di 216 persone (246 secondo un’altra fonte), la maggior parte civili e un centinaio di miliziani filogovernativi. In questo modo hanno voluto dimostrare che il terrore islamista può sempre colpire; hanno fatto strage di drusi nel cuore della loro stessa città; hanno ucciso miliziani fedeli ad Assad, che è un alawita.

«È stato l’attentato più sanguinario compiuto in Siria in 7 anni di guerra», commenta Azadi “Pachino”, nome di battaglia di Paolo Andolina, un combattente siciliano che milita nelle fila dell’Ypg, le milizie curdo-arabe che molto hanno fatto per sconfiggere il Daesh. Un altro miliziano Ypg racconta: «Testimoni oculari hanno riferito che 100-200 macchine si stanno spostando lungo il confine tra Siria e Iraq». Sono le bande di quel che resta del Daesh, che si nascondono nelle zone più impervie del deserto siro-iracheno, pronte a colpire.

I drusi, l’obiettivo dell’attentato di as-Suwayda, sono numerosi in questa parte meridionale della Siria, come pure nel vicino Golan israeliano e in Galilea. Sono apparsi in Egitto nell’XI secolo come una setta islamica e sono diventati un popolo. Sono arabi ma non musulmani, né ebrei, né cristiani. La loro religione abramitica accoglie elementi delle tre fedi, e forse anche un po’ di induismo. Credono nella trasmigrazione delle anime e rispettano le Scritture delle tre religioni monoteiste, ma hanno un loro testo sacro, il Kitab al-Hikma, il Libro della Saggezza. Drusi si nasce, non si può diventare, e attualmente sono circa un milione e mezzo: 700 mila in Siria, 215 mila in Libano, 140 mila in Israele, 32 mila in Giordania e 400 mila sparsi soprattutto fra Canada, Usa, Venezuela e Australia. In ogni Paese in cui si trovano a vivere sono fedeli alla propria comunità e insieme anche al Paese che li ospita, al punto che in Israele sono perfino nell’esercito con un loro battaglione; in Siria da quando è iniziata la guerra ci sono due milizie per la difesa della comunità drusa: Shiuk al-Karama legata ai ribelli e Dar al-Watan alleata con il regime di Assad. I drusi del Golan israeliano aiutano i drusi di Siria e chiedono di fare lo stesso sia ai drusi libanesi (che partecipano al governo del loro Paese) che a quelli giordani, fedeli a re Abdallah II.

Ayoub Karra, druso israeliano e vice ministro per gli Affari regionali del governo Netanyahu, spiega la posizione dei drusi in un modo che a noi potrebbe apparire sconcertante, ma che colpisce: «Tutti i regimi arabi sono oppressivi e non democratici, ma quello che a noi drusi importa è che siano laici. Con questi sistemi possiamo convivere, chi più chi meno garantiscono i diritti delle minoranze. I nostri nemici mortali sono gli estremisti islamisti che vogliono imporre regimi religiosi: contro di loro combatteremo sempre».

 

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