Storie di buona convivenza

Questa volta, ha gettato il suo scandaglio di giornalista in un tratto di mare in verità poco trafficato. Ma per uno che – come lui – preferisce andare controvento , è prevalsa l’idea di lasciar parlare di nuovo i fatti, piuttosto che puntare l’obiettivo sugli scontri, già così tanto enfatizzati dai media. Cerco fatti di vangelo. Inchiesta di fine millennio sui cristiani d’Italia; Nuovi martiri. 397 storie cristiane dell’Italia di oggi; Io non mi vergogno del vangelo: sono solo alcuni titoli dei suoi numerosi libri, alcuni dei quali tradotti in varie lingue, in cui ha raccolto lungo tutta la penisola, e poi raccontato, storie di perdono e di straordinario eroismo cristiano, sino al martirio. Ha poi seguito Giovanni Paolo II in tutti i suoi viaggi, divenendo uno dei suoi più competenti biografi. La sua nuova fatica verte dunque su un argomento di cui si parla troppo, o troppo poco, a seconda dei punti di vista. Accattoli ha ristretto il campo agli immigrati nel nostro paese che in varia misura si riconoscono nell’islamismo. E il primo dato che appare in modo sorprendente dall’inchiesta è la grande varietà di modi di essere musulmani, più che un islam monolitico e monocorde. Una ragione di più, dunque, per imparare a distinguerli. Perché – dice l’autore, classe ’43, cinque figli, da 23 anni giornalista al Corriere della Sera – la buona convivenza con i musulmani è frequente, ma il suo racconto è raro. Dr Accattoli, L’Edb ha appena pubblicato il suo Islam. Storie italiane di buona convivenza. come è nata l’idea di questo viaggio un po’ in controtendenza? La spinta iniziale è venuta dal disagio che un giornalista prova di fronte all’enfatizzazione da parte dei media degli episodi negativi di violenza e di aggressività. Non perché questi episodi non esistano. Non sono un ingenuo. Tuttavia essi non rappresentano tutta la realtà. Allora, mi sono detto, posso usare gli strumenti giornalistici per dare notizia delle buone convivenze (ho scelto questa formula per poter tener conto della più ampia varietà dei campi di indagine). Questo l’ho fatto per lungo tempo per la rivista Il Regno, e poi pensato di completare l’indagine e di raccoglierla in un volume. Ma l’idea iniziale era – e resta – di completare con altri elementi la conoscenza che si ha del fenomeno. Puntando dunque sulle storie, positive in questo caso, non temo di distorcere la realtà, ma spero di contribuire a raddrizzarne la percezione. C’è un’esperienza che l’ha colpita particolarmente? La storia che mi ha sorpreso di più è quella di un sagrestano musulmano. È Habib, che da undici anni fa questo lavoro a Milano, alla parrocchia del Suffragio. E lo fa bene, assicura il parroco, che l’ha ereditato da quello precedente, don Erminio De Scalzi, ora vescovo e abate di Sant’Ambrogio. Nel corso dell’inchiesta ho avuto molte sorprese, tanti aspetti che non mi aspettavo. Per esempio, non mi aspettavo che gli emigrati musulmani avessero tanta facilità ed anche tanta contentezza di entrare nelle chiese, di partecipare a momenti di culto, a matrimoni cattolici come alle professioni religiose se sono amici di colui o colei che si consacra a Dio. Ma trovare addirittura uno che come lavoro accetta di fare il sagrestano, e lo fa consapevolmente e nel pieno rispetto, senza provocare scandalo pur in presenza di un gruppo di parrocchiani che prima lo contestano, ma poi lo accettano vedendone la correttezza, è una scoperta in qualche modo consolante. In questa sua ricerca, condotta a tutto campo, lei comunque ha approfondito particolarmente l’aspet- to del rapporto tra musulmani e cristiani. Cosa ha trovato? Sono raccolte nel libro più di 150 storie, e la mia presa conoscitiva è più forte nel mondo cattolico, a causa della mia professione. Ma la sonda è stata gettata in ogni direzione. Sono numerosi gli interlocutori che si sono dichiarati non osservanti; alcuni dicono di essere laici, uno addirittura si definisce ateo, ma nessuno rinnega la cultura islamica. Ma quello che sorprende maggiormente nel corso dell’osservazione sul campo è di trovare che l’atteggiamento aggressivo – o pauroso, c’è anche questo – del musulmano nei confronti della religione cristiana, dei suoi simboli, è straordinariamente minoritario rispetto a una normalità dell’emigrato che in genere ha un atteggiamento di simpatia, di sincero desiderio di conoscere. Cioè, l’emigrato che protesta perché non vuole il presepe nella scuola dove porta il suo bambino è assolutamente un caso raro, in rapporto invece a decine e decine di altri musulmani contenti che i loro figli vengano avviati a scuola alla conoscenza dei segni religiosi cristiani, purché crescano in un ambiente sensibile ai valori religiosi, piuttosto che in uno indifferente o secolarizzato. Che cosa ha scoperto del rapporto dei Focolari con i musulmani? È un argomento poco conosciuto. Io ne avevo notizia, però non sospettavo che tale rapporto fosse così corposo, e che le persone coinvolte fossero così numerose. Solo in Italia sono un migliaio i musulmani che partecipano alle iniziative, alla vita del movimento. Sapevo dell’esistenza di tali contatti, ma non dell’estensione del fenomeno. Allora ho pensato che fosse importante dedicare un intero capitolo del libro all’argomento, per poter aiutare chi, come me, non è a conoscenza di queste grandi potenzialità. Ciò che avviene nel mondo focolarino, si può immaginare che possa avvenire anche altrove con uguale successo. Il libro lo mostra in tutta la sua ricchezza ed estensione. Vi sono musulmani nelle università pontificie, presso la Caritas, persino in Vaticano. Per non parlare poi delle parrocchie. Però il Movimento dei focolari ha un primato – sicuramente per quello che io ho potuto rilevare -: non ho trovato nessun altro ambiente associativo, e non solo in campo ecclesiale, dove l’esperienza dell’incontro con i musulmani sia così ampia e così positiva. Per questo ho deciso di dedicare tanto spazio del mio libro all’argomento, e anche di approfondirlo in modo adeguato mediante l’intervista a Chiara Lubich. Come ritiene che la Chiesa italiana stia affrontando il problema del rapporto con i musulmani? L’inchiesta è stata condotta con la collaborazione di Ciro Fusco e di Emilio Vinciguerra e con il contributo del Servizio nazionale per il Progetto culturale della Cei. Questo dice l’apprezzamento dello spirito con cui è stato condotto il lavoro. Poi c’è l’esempio forte del card. Antonelli, che viene segnalato nel libro. Per non parlare della maggioranza delle testimonianze che, come ho detto, provengono dal tessuto ecclesiale, dalle parrocchie, che operano ovviamente con l’approvazione dei vescovi. Tutto questo è positivo. Ritengo infatti che anche la Chiesa italiana rispecchi gli stessi atteggiamenti che riscontriamo nella società. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se il grido di allarme di qualcuno riesce a coprire le molte voci di un rapporto di stima e di fiducia, messo ogni giorno alla prova e faticosamente riconquistato da ambo le parti. Per concludere, come vede il futuro di questo rapporto? Io non ho una teoria. Sono un giornalista, osservo i fatti. Penso però che, a guardare i fatti con calma, ed anche con rispetto delle persone, cercando di valorizzare il loro aspetto migliore (e nel caso dei musulmani è senz’altro la preghiera), possiamo guardare al futuro con speranza, senza paura. Ed è questo il messaggio che io vorrei trasmettere ai miei figli. NEL MIO PAESE ODIAVO I CRISTIANI La scoperta della prossimità umana può aiutare l’immigrato musulmano a decongestionare la sua avversione per la nostra diversità culturale. È il caso di Abdel Wahab Hossam, imprenditore edile egiziano con famiglia, del quale mi parla un’amica lodigiana, Carolina Sacchi, cittadina del mondo: Quando ero nel mio paese odiavo i cristiani, poi sono venuto qui in Italia e la vita gomito a gomito con voi italiani mi ha fatto capire che abbiamo quasi gli stessi problemi e le stesse speranze. Sono caduti i pregiudizi e io non odio più. Anzi per me la cosa più bella è quando possiamo aiutarci a vicenda! Un altro punto di incontro è il valore della pace come bene da cercare insieme, con la convinzione che il Dio in cui crediamo è lui, per primo, che genera pace . Così Abdel parla in occasione della marcia per la pace di fine gennaio 2003, organizzata a Lodi da associazioni cattoliche. Luigi Accattoli

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