Storie dalla Siria: la pace è difesa dei fragili

È sempre più urgente, come ripete instancabilmente papa Francesco, una mobilitazione delle coscienze per fermare il conflitto devastante in Ucraina. Ma non possiamo ignorare tante guerre dimenticate. Un’esperienza consolidata di solidarietà nella Siria devasta da 10 anni di distruzioni che testimonia lo sforzo quotidiano di “spostare le montagne dell’odio e della violenza”.
Siria Rifugiati interni (AP Photo/Omar Sanadiki)

Esiste una mistificazione del termine pace, quando la si usa per dire che la pace vuol dire sconfitta dell’avversario. Questa è una posizione drammaticamente utopica. Gli utopisti non sono coloro che dicono fermiamo la guerra. Gli utopisti sono quelli che pensano che con uno strumento ormai superato si possano risolvere dei problemi che sono totalmente nuovi, perché i problemi ci sono.

Per questo motivo diventa ogni giorno più attuale e nessuno di noi può dimenticare quando lo scorso 2 papa Francesco ha dedicato l’intero Angelus ad un forte appello per chiedere il cessate il fuoco, in cui si è rivolto direttamente al presidente della Federazione Russa, supplicandolo di fermare, per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte e al presidente dell’Ucraina ad essere aperto a serie proposte di pace: «Che cosa deve ancora succedere? – ha affermato Francesco- Quanto sangue deve ancora scorrere perché capiamo che la guerra non è mai una soluzione, ma solo una distruzione?».

È, quindi, quanto mai urgente lavorare per invertire la tendenza della politica, ma anche dell’opinione pubblica europea che appare indotta alla rassegnazione alla guerra e all’inevitabile ricorso alla logica delle armi. Come espresso dall’incontro dell’11 giugno che si è tenuto a Vienna, promosso da una rete plurale di reti e movimenti di 45 Paesi, «le istituzioni create per garantire la pace e la sicurezza in Europa hanno fallito e il fallimento della diplomazia ha portato alla guerra. Ora la diplomazia è urgentemente necessaria per porre fine al conflitto armato prima che distrugga l’Ucraina e metta in pericolo l’umanità».

Ma quella in Ucraina non è l’unica guerra in corso: da dodici anni la Siria è in guerra, da più di dieci anni lo Yemen; e poi il Myanmar, i focolai di guerra in America Latina e in Africa

Se ci sono guerre che sembrano più importanti per il rumore che fanno, tutto il mondo è in guerra, in autodistruzione. E allora non possiamo dimenticare un altro Angelus in cui papa Francesco lanciò, nel 2013, un appello accorato per la Siria.

Anche qui si ripropone la domanda: da che parte dobbiamo stare? Dalla parte delle vittime, dei bambini, degli anziani e dei fragili. Ancora di più dopo il terribile terremoto che si è abbattuto su quel territorio.

Domingos Franco è un economista brasiliano che vive ad Aleppo dal 2019 con cui ho avuto la possibilità di parlare della situazione della Siria, dove la maggior parte della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Le zone abitate non vengono più colpite dai missili, ma la guerra non si è mai fermata e la morsa delle sanzioni rimane nei suoi effetti secondari.

Quello che rattrista ancor di più le persone è che, a parte il papa, quasi nessuno parla più della Siria. Dicono: «Ci sentiamo davvero dimenticati dal resto del mondo». Domingos mi ha raccontato che ha imparato ad apprezzare l’enorme capacità di questo popolo nel sopportare questa situazione così dura. Nonostante tutto, molti, ancorati a una fede solida in Dio, riescono ancora a donare gioia attorno a sé: una specie di paradosso che la società del benessere forse fa fatica a capire. I rapporti sociali sono caldi, ci si aiuta a vicenda, le rapine sono poche, i figli sono educati con valori solidi e la solitudine trova poco spazio.

Domingos vive in una comunità dei Focolari – che in Siria sono numerose e molto vive – e con l’ong Azione per un mondo unito portano avanti alcuni programmi, sostenuti dalla generosità di molti donatori e questo aiuta a continuare a credere insieme in un futuro migliore, o almeno a sopravvivere nel presente.

Il programma Semi di Speranza sta accanto a 450 famiglie in risposta ai bisogni primari – sono 325 i bambini seguiti con sostegno scolastico, 250 dell’istituto per bambini sordi ad Aleppo, 500 le persone con patologie croniche, disabilità e mutilazioni a cui si è potuto dare sostegno socio- sanitario. Il programma RestarT, ripartire per restare, ha avviato 50 micro-imprese generatrici di reddito, essenziali per ridare dignità a chi ha perso tutto durante la guerra.

La raccolta fondi straordinaria avviata il giorno stesso del terremoto ha raggiunto finora 370.000 euro e si è attivato un programma rivolto a 2.500 persone nelle aree terremotate di Aleppo, Latakia e Hama su tre ambiti: assistenza ai bisogni primari, recupero delle abitazioni e supporto psicologico.

Secondo Domingos «di speranza non si può quasi parlare in Siria, la si può tuttavia generare attraverso le azioni concrete di sostegno e di vicinanza a chi soffre ed è disperato».

Parole che valgono per tutti. Quante volte anche per noi è difficile parlare di speranza, ma la possiamo generare attraverso le azioni concrete di vicinanza a chi soffre, ai più fragili.

Quante volte facciamo l’esperienza che accingerci oggi a spostare le montagne dell’odio e della violenza è un compito pesante.  Ma esiste una consapevolezza profonda espressa così da Chiara Lubich: «Ciò che è impossibile a milioni di uomini isolati e divisi pare diventi possibile a gente che ha fatto dell’amore scambievole, della comprensione reciproca, dell’unità, il movente essenziale della propria vita».

Questo contributo è parte dell’intervento presentato nell’incontro di Reti della Carità

qui il testo integrale

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