Stefy e il Vaso del Lupo Cattivo

 Nella Piana del Sele, il Museo di Pontecagnano è un’eccellenza della Campania con l’annesso Parco archeologico-Oasi naturalistica
Il Vaso del lupo cattivo (etrusco-corinzio), Kotyle con Gorgone. Foto: Wikimedia commons/Sailko https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pittore_del_lupo_cattivo_(etrusco-corinzio),_kotyle_con_gorgone,_da_600-585_ac_ca.,_pontecagnano_(MAN_pontecagnano).JPG

Non era la prima volta che nonno Umberto accompagnava il nipotino Stefano a visitare un museo archeologico. Da quando gli aveva fatto scoprire su YouTube le avventure di Indiana Jones, il bambino, già infatuato di voler fare l’astronauta da grande, aveva cambiato idea, optando per il mestiere di archeologo. Meglio così, s’era tranquillizzato il nonno, che un futuro a spasso nei misteri del cosmo proprio non l’avrebbe augurato a nessuno, e meno che mai al suo amato Stefy.

Questa volta aveva scelto uno di quei musei periferici meno pubblicizzati e ingiustamente qualificati come minori: quello di Pontecagnano dedicato agli “etruschi di frontiera” in territorio campano, nella Piana del Sele. Un museo che, oltre all’eccellenza dei materiali esposti, al chiarissimo apparato esplicativo dei pannelli tematici e delle vetrine, nonché al personale cortese e disponibile, aveva il vantaggio di trovarsi a due passi dalla stazione e di non stancare il visitatore con l’esorbitanza dei suoi reperti. Insomma, un gioiellino da gustarsi con calma, senza dover fare lo slalom in mezzo ad una folla di visitatori: così lo aveva apprezzato nonno Umberto in una precedente visita senza il nipote.

Senonché quel martedì mattina le sale luminose del moderno edificio vetrato riecheggiavano il brusio di una scolaresca e le spiegazioni dell’insegnante guida: «…Pontecagnano in età etrusca si chiamava Amina, un villaggio sul quale si sarebbe insediata più tardi la Picentia romana… prima però, a partire dal IX secolo a.C., si era affermata nel territorio la Cultura Villanoviana, che si può definire anche “protoetrusca”, ecc. ecc.».

«Vieni, Stefy, visitiamo prima le altre sale, così siamo più tranquilli» fece nonno Umberto per evitare l’assembramento davanti a certe vetrine. E lo portò ad ammirare, nella sezione dedicata alla prima Età del Ferro, le suggestive ricostruzioni rappresentanti gli ambiti della tessitura e dell’artigianato bronzista.

Seguirono i reperti dell’età orientalizzante, momento di massima fioritura per le popolazioni del territorio, come testimoniato dai sontuosi corredi funerari di vasi, armi, arredi, gioielli provenienti da diverse aree della penisola e del Mediterraneo. «Guarda, nonno, che curiosa! – esclamò Stefano davanti alla vetrina dove faceva mostra di sé una sorprendente maschera equina bronzea –. Ma la portava proprio il cavallo?». Preso alla sprovvista, nonno Umberto deviò l’attenzione del nipote sulla ricostruzione di un carro a due ruote: «Sai, tutto ciò che vedi qui è stato trovato nelle tombe… Pensa, in questo posto finora gli archeologi ne hanno scavate diecimila».

Intanto la scolaresca si stava allontanando dal reperto più bizzarro, proprio quello col quale il nonno contava di far colpo sul nipotino, mentre ancora s’udivano le ultime spiegazioni dell’insegnante: «… Altre leggende sono quelle che riguardano la trasformazione, nelle notti di luna piena, degli esseri umani in lupi: i cosiddetti licantropi, considerati un pericolo e per questo allontanati dalla comunità. Insomma, bambini, sul lupo si è detto di tutto e il contrario di tutto: chi li ha descritti come creature malefiche, chi ne ha fatto addirittura delle divinità…».

«Cos’è questo vaso?» domandò Stefano davanti alla vetrina dove il nonno gli indicava un recipiente panciuto a due anse, tutto decorato: «Attento! Guarda bene, e dimmi cosa vedi». «Sembra la scena di un fumetto… c’è un animale che insegue un buffo personaggio con una testona rotonda». «Esatto! Si tratta di un lupo con le fauci spalancate che sta facendo scappare una spaventatissima Gorgone. È il Vaso del Lupo Cattivo, uno dei tesori del museo, di cui è diventato una immagine-simbolo». «Come hai detto, nonno? Gor…gor…». «Gorgone. Secondo i racconti mitologici era una donna mostruosa, che al posto dei capelli aveva dei serpentelli. Chi la guardava era spacciato: zac! diventava pietra».

«Ma allora – riprese Stefy dopo averci pensato un po’ –, se la Gorgone faceva così, la cattiva era lei, non il lupo che l’ha fatta scappare». Colpito da questa riflessione, l’anziano commentò: «Hai ragione, forse dovremmo farlo presente alla direttrice del museo per far cambiare la didascalia».

Inutile dare al nipote spiegazioni erudite su quella lekytos o coppa realizzata da artigiani emigrati dall’Etruria che, agli inizi del VI secolo a.C., avviarono in questo lembo di Campania una produzione di ceramica figurata ad imitazione di quella corinzia, ma originale nella resa dei soggetti; inutile anche accennare al suo significato apotropaico: Stefy si sarebbe annoiato o non avrebbe capito. Nonno Umberto si compiacque invece nel vedere con quanto interesse il bambino girava attorno al Vaso per ammirarlo nei particolari. «Ah ah, è proprio divertente questa Gorgone con la lingua fuori! Quando torniamo a casa provo a disegnarla… Ma perché l’hanno dipinta su un coccio?».

«Beh, siccome all’epoca non erano stati ancora inventati né la carta né i libri, i miti e le altre storie venivano raccontati così, dipinti su vasi, piatti, bicchieri, come tante strisce di fumetti. E tutti le capivano, anche se non avevano studiato. Era, quella, una civiltà dell’immagine, un po’ come la nostra. Ma ora lasciamo il Vaso del Lupo Cattivo… pardon! del Lupo Buono, e andiamo fuori a completare la visita: qui vicino ci aspetta il Parco archeologico con gli scavi di Amina-Picentia, che oltretutto è una bellissima Oasi naturalistica. Vedrai, non rimarrai deluso».

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