Stefano Bollani in concerto

Telecomunica, il giro del mondo in concerto, offerto da Telecom e Santa Cecilia, presentano il pianista milanese in una serata dedicata a New York. Si inizia con la suite dal balletto di Bernstein Fancy Free, eseguito il 18 aprile 1944, e ricco, com’è del compositore eclettico, di citazioni classiche, folcloriche, jazzistiche: una fantasia pirotecnica imbrigliata tuttavia da un rigore strumentale, ben nascosto, che riesce a mantenerla spumeggiante, ma non banale. Poi è Bollani, molto casual, molto mattatore, a esibirsi. La celebre Rapsody in Blue per piano e orchestra di Gershwin, anno 1924, porta colori, atmosfere insinuanti che il pianista, assecondato dalla giovane bacchetta americana Andrew Grams, scorre con assoluto piacere – suo e del pubblico – terminando con una cadenza di virtuosismo puro, in cui l’elemento improvvisazione fa emergere il vero Bollani: quello che si lascia guidare dalla fantasia e dal gusto di far nascere note nuove su note antiche. Ci vuole certo un gran mestiere e molta tecnica, ma anche, diremmo soprattutto, la gioia straripante di creare, liberamente. E con incantevole, quasi infantile, leggerezza. Il pubblico è in delirio, lui lo sa. Ne approfitta, da astuto showman, per proporre, con finta noncuranza, tre brani brasiliani, ritmici e giocosi, che fan venir voglia di ballare alla gente e – siamo a Santa Cecilia! – all’orchestra. C’è un violoncellista, fra gli altri, con una faccia che è il ritratto della beatitudine… Finito Bollani, si chiude con la Sinfonia n. 9 Dal nuovo mondo di Dvorva´k, trionfalistica e tenera, con quel Largo dove il corno inglese insegue una melodia nostalgica, ormai popolare negli Usa. La notte americana è chiusa. Resta il ricordo di Bollani, virtuoso bravo e furbacchione, come tanti di ieri e di oggi. Un pizzico della sua anima infantilmente bella, è rimasto, sotto il clamore mediatico che (gli) piace tanto. Per fortuna. IL FLAUTO MAGICO Musica di Mozart. Roma, Auditorio Conciliazione. La stagione dell’Orchestra Sinfonica di Roma, diretta da Francesco La Vecchia, ha chiuso, con l’ultimo gioiello mozartiano, in bellezza. Ascoltando quest’edizione dignitosa, con una regia sincera e umile, bei costumi e un cast per molti versi ammirevole (fra tutti, la voce trasparente di Valentina Farcas, una giovane Pamina assai promettente) ci si conferma nell’idea che il musicista, scrivendo per un teatro viennese più che periferico un lavoro di cassetta – destinato ad un uso e consumo rapido -, abbia voluto lanciare una sfida. Come a dire: volete vedere se so scrivere una favola con facili melodie, ritmo spigliato, un po’ di sana ideologia massonica, alla moda? Eccovi accontentati: avrete tutto, e per di più un capolavoro. Fatto per gli intenditori e gli orecchianti. Così, ad arie italiane di acuto virtuosismo (la Regina della notte), seguono momenti patetici (Tamino e Pamina), duetti buffi (Papageno), corali seriosi. Ci crede Mozart a tutto questo? Come sempre, sì e no. Lui se ne sta in alto, si diverte, ci diverte, riflette. Con l’eleganza serena del genio. La direzione di La Vecchia questo l’ha colto. E non è poco.

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