Estendere la partecipazione a 70 nuovi membri scelti tra sacerdoti, consacrate e consacrati, diaconi e fedeli laici, che avranno diritto di voto: è una delle novità introdotte da papa Francesco per la prossima Assemblea del Sinodo che si svolgerà dal 4 al 29 ottobre prossimo. Ne parliamo con sr Maria Nerina De Simone, consigliera e segretaria generale delle suore Carmelitane Missionarie di S. Teresa di Gesù Bambino.
Papa Francesco ha stabilito che, alla prossima Assemblea sinodale, avranno diritto di voto anche consacrate e consacrati, laici e laiche. Una scelta che si pone in continuità con il cammino sinodale che la Chiesa sta percorrendo. In che modo ha accolto questa notizia?
Per me è stata una notizia fantastica. Nel senso che era una cosa inimmaginabile. Il papa, con questa decisione, ha mostrato ancora una volta che intende portare avanti nei fatti con grande decisione la sua convinzione che nella Chiesa non ci sono “cittadini di serie B”, pur nella differenza di carismi e ministeri, perché il battesimo ha dato a tutti noi lo stesso Spirito Santo e tutti abbiamo il diritto e anche il dovere di dare il nostro contributo fattivo alla vita e al cammino della Chiesa.
In che modo la vita consacrata femminile sta vivendo il percorso sinodale della Chiesa?
Per quanto posso percepire, la vita consacrata femminile vive con gioia questo percorso sinodale, anche se non riesce bene a percepire quali ne possano essere i risultati. Forse c’è timore di rimanere deluse, com’è stato – almeno in parte – con il Concilio Vaticano II e per questo non si manifestano molte speranze. Di sicuro, la prima fase dell’ascolto sinodale, con la raccolta delle voci di persone dentro e fuori la Chiesa cattolica, ha suscitato molto interesse per la sua novità e anche perché è stata percepita come un passo necessario a rinnovare profondamente la vita della Chiesa. Di ciò si sente molto la necessità perché la vita consacrata e la Chiesa tutta hanno bisogno di un “bagno di realtà” per tornare a essere significative nel mondo di oggi e, soprattutto, più fedeli al Vangelo nella sua splendida essenzialità.
In un’ottica di complementarietà e di reciprocità, che contributo pensa che possano dare le voci delle donne, di laici e laiche e dei giovani alla riflessione sinodale?
La prima fase sinodale ci ha messi tutti in ascolto: ascolto reciproco all’interno della Chiesa e ascolto di persone e situazioni esterne alla Chiesa. Questo aspetto di ascolto è fondamentale, perché aiuta la Chiesa cattolica a trovare la strada per tornare a stretto contatto con la realtà quotidiana degli uomini e delle donne, a volte molto dura e solitaria, recuperando l’essenziale della propria realtà di popolo chiamato a vivere e annunciare il Vangelo del Signore, la sua vicinanza fraterna, la sua misericordia tenera e fattiva, la sua intelligente capacità di parlare in modo diretto a tutte le categorie, il suo chiaro interesse per la salvezza terrena ed eterna dei suoi fratelli. Questo contatto con la vita “normale” e feriale del popolo di Dio è proprio quanto i “non-chierici” hanno da offrire al cammino comune di tutta la Chiesa, nella riscoperta della gioia di vivere e condividere una vita profondamente impregnata di Vangelo e intensamente condivisa con Gesù, riscoperto accanto a ciascuno di noi come persona viva e operante. Affermo questa necessità di “ferialità” anche perché ho dovuto costatare con preoccupazione in molti membri giovani del clero la presenza di mentalità, atteggiamenti e abitudini fortemente “clericali” anche se spesso mascherati. Il concetto della sinodalità presuppone la consapevolezza di tutti i membri della Chiesa di essere portatori di un dono divino unico, senza preminenza di alcuni sugli altri.
Papa Francesco ha detto: «Non basta fare un Sinodo. Bisogna essere un Sinodo». È una sfida ad una conversione più profonda. In che modo le comunità religiose e parrocchiali possono essere palestre di dialogo, luoghi dell’ascolto sinodale?
La mia esperienza riguarda principalmente le comunità religiose. «Essere Sinodo» secondo i criteri che stiamo approfondendo è un impegno forte che deve rimanere costante. Davvero questo esige una conversione rispetto agli stili e alle idee che si sono tramandati nelle nostre comunità, soprattutto per quello che riguarda la vita di sorelle/fratelli nelle comunità e la gestione dell’autorità. Quest’ultimo, soprattutto, mi sembra un tema da continuare ad approfondire (dopo l’Istruzione del Dicastero gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica «Il servizio dell’autorità e l’obbedienza. Faciem tuam, Domine, requiram») e su cui lavorare intensamente per ottenere un vero cambio di mentalità e un altrettanto autentico rinnovamento dei modi di agire.
L’Instrumentum Laboris del Sinodo, che è stato di recente presentato, ha come titolo “Comunione, partecipazione, missione”. Nella sua esperienza di religiosa missionaria, in che modo si possono promuovere la comunione e la partecipazione di tutto il popolo di Dio affinché sia popolo missionario?
Questo può sembrare un compito difficile nei nostri tempi e alle nostre latitudini in cui ormai dilaga l’indifferentismo religioso. Ma l’esperienza mia e delle mie sorelle dice anche qualcos’altro e, cioè, che se ci si mette davvero in dialogo con il popolo di Dio, se si aprono le porte dei conventi e delle sacrestie e si lascia entrare la “gente di buona volontà”, si riescono a trovare delle strade nuove per coinvolgere nella missione della Chiesa le persone in un raggio sempre più ampio.