Squadra vincente anche a livello Paese?

Dall’esperienza della nazionale italiana all’ultimo Campionato Europeo, alcune considerazioni sul gioco collettivo. Il metodo, lo stile, l’alibi, la motivazione, la vittoria. I prossimi obiettivi ambiziosi del nostro Paese in campo economico e sociale
(Michael Regan/Pool via AP, File)

Competitività, crescente complessità, sfide lavorative, politiche e associative, globalizzazione, portano a concentrare sempre più nel concetto di “squadra” buona parte delle analisi. Molti parlano di gioco di squadra, quasi come un imperativo morale da raggiungere per brave persone, il che è positivo, ma non sufficiente a spiegare cosa faccia davvero una squadra e cosa la renda tale, al di là del banale concetto di solidarietà che vuole tutti per una causa.

Ora, posto che il mondo imprenditoriale ad esempio sia pieno di storie di uomini che, quasi da soli, fanno grandi cose, la maggior parte delle vicissitudini umane, così come gli stessi affari, in una società sempre più globalizzata, sono sempre più complessi, comportando il fatto che, anche se si possiede il fuoriclasse, imprenditore o giocatore che sia, sarà dura ottenere un buon risultato senza un gioco di squadra. Percepito legittimamente come necessità, non a caso il concetto di “fare squadra” sta diventando fondamentale per molteplici categorie della società. In pochi pragmatici termini, “conviene” a chi ne fa parte, anche se abituato a ragionare da egoista.

Cosa vuol dire “fare squadra”?
Innanzitutto non esiste squadra senza una tattica. La tecnica è infatti solo uno strumento che, in un buon sistema tattico, mette in evidenza i pregi per nascondere i difetti e, al contempo, sottolineare i difetti dell’eventuale avversario neutralizzandone i pregi. Per quanto un elemento sia bravo, ci sarà sempre qualcosa in cui non è molto abile. Solo il gioco collettivo fa emergere il meglio di ognuno, sopperendo ai difetti di uno con le doti di un altro. Pensare di fare squadra senza questo, significa semplicemente adottare una tattica sbagliata.

Inoltre, non valorizzando i pregi di ogni individuo, alla lunga sarà probabile lo sfaldamento del team. In un club sportivo ad esempio può essere sostituito, ma in un’azienda o in un’associazione carismatica, dove la mobilità è decisamente più bassa, può diventare un problema serio.

L’individuo all’interno della squadra e gli obiettivi
Non sono (solo) i discorsi moralistici a mantenere saldo lo spirito di squadra, ma soprattutto criteri anche umanamente utilitaristici e pragmatici: il membro della squadra deve intravedere la convenienza dello stare nel gioco di squadra, traendo maggiori benefici personali giocando insieme a compagni che nascondano i suoi difetti ed esaltino i suoi pregi. Pertanto, molto deriva dalla chiarezza nel “fare squadra” delle funzioni delineate, affinché tutti conoscano i ruoli propri e degli altri. Questo chiama in causa metodologia, stile di lavoro e di gioco: più sono chiari a tutti più il ruolo dell’allenatore ad esempio, che consiste nel saper costruire un gioco in collaborazione con i giocatori, si rivela efficace.

Per citare l’esempio più recente e lampante delle cronache italiane, agli Europei di calcio, il commissario tecnico Roberto Mancini non è stato vincente tanto per avere fatto muovere Jorginho o Spinazzola secondo le proprie intenzioni, ma soprattutto per avere trasmesso loro la capacità di muoversi sincronicamente esaltando le complementari caratteristiche, come le geometrie del primo e la progressione del secondo (vedi anche il breve commento di Beppe Severgini durante TG1 RAI). Certo, Mancini si è assunto la responsabilità di scelte inizialmente anche discutibili per tanti ed un margine di errore esisterà ovviamente sempre, in ogni elemento.

Gruppo e squadra: attenzione alle differenze
Un gruppo può fare cose insieme, è l’elemento di base della squadra: si forma svolgendo un’attività in comune, come una classe scolastica. Qui l’individuo ha dei ruoli, ma non così ben delineati, attribuitigli spontaneamente dagli altri componenti. È un’entità propria: la sua caratteristica non deriva dalla somma delle caratteristiche degli individui che lo compongono, ma bisogna ricercarla nelle dinamiche che si creano al suo interno.

In una squadra, invece, i ruoli devono essere ben definiti in funzione del tipo di gioco che si vuole adottare. Un terzino ad esempio, non deve fare la punta solo perché il centravanti non segna. Questo implica accettare anche i limiti, i difetti e gli errori dei compagni. Ciascun giocatore deve avere e rispettare il ruolo assegnatogli dall’allenatore, dal capo, dal vertice, che a questo serve.

(Laurence Griffiths/Pool via AP)

La cultura dell’alibi, la motivazione e la vittoria
Attenzione all’alibi: oltre a distruggere l’armonia, impedisce di progredire e imparare. Se riconoscere il proprio errore segnala la necessità di apportare modifiche, la scusa, invece, impedisce di mettere in moto risorse che spesso non si conoscono neanche: per questo l’arbitro, la pioggia, i tifosi, il mercato, il sistema, sono spesso giustificazioni rispetto a proprie mancanze che, se non riconosciute, non comporteranno mai evoluzioni nei risultati.

Certamente tuttavia, senza una motivazione di base, che sia in qualche modo far fare ciò che piace ai membri, sarà impossibile costruire una squadra. A fronte di questo, le condizioni di lavoro, le relazioni, le gratificazioni, consentono sempre un migliore rendimento. In questo, il nostro Paese sembra ancora molto indietro.

Lo stesso concetto di vittoria merita analisi: una prima vittoria è quella contro i propri limiti, un passo alla volta; quindi superare le difficoltà contestuali è la seconda tipologia di vittoria; solo la terza è quella in competizione con altri, affrontando prima avversari alla portata, poi misurandosi contro i migliori, per stabilire un punto di riferimento alto. E si impara più perdendo contro un avversario forte piuttosto che vincendo da uno debole

Una squadra vive di obiettivi e priorità
Una squadra però, vive di obiettivi, a breve, medio e lungo termine. Nell’orizzonte della nostra “squadra-Paese” ce ne sarebbero tanti ma, per non disperdersi e cogliere i segni di un tempo straordinario cruciale per il futuro, non è difficile individuare in due grandi sfide immediate ad ampio raggio una sorta di campionato dei campionati. La prima, è senza dubbio una corsa alla vaccinazione che favorisca l’attenuarsi della pandemia, senza guardare ai confini: i virus non conoscono passaporti; la seconda, senza dubbio la grande sfida del “Recovery Plan”. Il motivo è presto detto: lo sblocco dei licenziamenti, le crisi climatiche, la tenuta delle istituzioni hanno un comune denominatore che deve imporsi nella quotidianità della cittadinanza, chiamato cambiamento.

Cambiare la produzione e riqualificare, in ottica di sostenibilità, può salvare moltissimi posti di lavoro; cambiare stili di consumo, può salvare salute e pianeta che lasceremo; cambiare il modo di sentirsi cittadini, non sudditi ma protagonisti responsabili della propria condotta personale e comunitaria può rafforzare e rendere migliori le istituzioni preposte e vantaggio di tutti. Anche quando gli obiettivi sembrano ambiziosi, una vera squadra può stupire anche sé stessa. Dunque coraggio, Italia: i draghi esistono, come le squadre che appaiono più forti perché dotate di più risorse o campioni. Ma poi, in campo, la differenza la fa sempre la squadra: che i draghi li può sconfiggere… e le squadre più forti le può battere, come già successo e come potrà succedere ancora, senza campionissimi e senza favori del pronostico.

 

 

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