Spremere… le meningi

Olio di oliva dal colore intenso e pastoso, ben confezionato in elegante bottiglia, rimandi alla natura nell’etichetta.
Uliveto in Liguria

Olio di oliva dal colore intenso e pastoso, ben confezionato in elegante bottiglia, rimandi alla natura nell’etichetta. L’occhio mi cade per caso sulla dizione: “Prodotto confezionato” in nota località ligure. In quelle due parole è racchiusa la complessa relazione tra le cose nel mondo contemporaneo. «Sinceramente… non capisco tanto la relazione», dirà qualcuno, ricordando il famoso tormentone del comico Crozza che metteva alla berlina le stranezze del nostro tempo.

La relazione c’è sempre, dobbiamo solo riconoscerla. Se l’olio è (solo) confezionato in Liguria significa che viene presentato come olio italiano ma probabilmente è stato ottenuto con olive spagnole, greche e tunisine. Sull’etichetta non è, infatti, obbligatorio indicare l’origine delle olive. Può capitare in alcune stagioni di avere una resa molto bassa e di dover ricorrere all’importazione, ma sempre più spesso le olive vengono comprate in qualche altro Paese perché costano meno. Io lo ignoro e mentre acquisto l’olio la mia mente vola alla splendida vegetazione ligure e al sapore salmastro delle mie vacanze di bambina.

 

Ma l’olio è solo confezionato in Liguria. Dunque, se le olive vengono comprate altrove, significa che quegli ulivi e quei terrazzamenti prima utilizzati per produrre olio sono stati abbandonati, i contadini hanno lasciato le loro attività, la vegetazione si sta rimpadronendo di quei terreni così a lungo accuditi dall’uomo. E va bene, possiamo fare anche a meno delle olive taggiasche, dirà qualcuno.

 

Certo, ma se i terrazzamenti e i canali d’irrigazione liguri non sono più curati dall’uomo, può accadere che un’improvvisa e torrenziale pioggia trascini a valle fango e vegetazione in una miscela devastante che – come è successo in questi mesi – stronca vite umane, distrugge paesi e cancella paesaggi. È il mercato bellezza, non si può fare altrimenti, dirà qualcun altro. Sì, ma se distruggiamo il paesaggio non riusciremo più neanche a vendere il nostro olio, che la gente compra perché profuma di paesaggio ligure.

 

Ora, provate a sostituire all’olio le arance, i pomodori, l’uva, il riso, il grano e potrete ricostruire da soli la storia del paesaggio italiano. Poi rimontate al contrario le sequenze di questo film e potrete fabbricarvi in autonomia una sensata politica economica: salvare il paesaggio, metterlo in sicurezza, sostenere le colture locali, incentivare le imprese che fanno prodotti di qualità, intercettare mercati che puntano sull’eccellenza. Se qualche tecnico o politico volesse provare a spremere le meningi…

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