Spagna: demografia, disuguaglianze e immigrazione

Fide, il principale think tank giuridico-economico spagnolo, ha presentato un interessante studio che individua i 50 obiettivi prioritari dei prossimi 30 anni per il Paese. Fra le strategie necessarie ipotizza anche l'incremento dell'immigrazione legale.
Spagna

I dati statistici, di per sé freddi e talvolta solo orientativi, hanno però il pregio di “consigliare” come far fronte ai problemi. Mettiamo il caso della disuguaglianza socio-economica nei Paesi dell’Ue, cioè il divario tra ricchi e poveri. Da qualche anno la Spagna occupa un inquietante quarto posto in questo indicatore (dopo Lituania, Romania e Bulgaria, mentre all’estremo meno diseguale ci sono Repubblica Ceca, Finlandia, Slovacchia e Slovenia).

Guardiamo poi l’indicatore dello squilibrio demografico. Secondo i dati di Eurostat, tra i Paesi dell’Ue, la Spagna ha il 32,68% del proprio territorio pressoché disabitato, molto lontano dall’11,12% svedese, l’8,38% tedesco, il 7,05% italiano o il 2,32% francese.

Questo dato contrasta enormemente con un ulteriore indicatore: nello 0,28% del territorio spagnolo si registrano concentrazioni che superano i 20 mila abitanti, mentre in Grecia questo accade solo nello 0,08% del suo territorio, in Italia nello 0,02% e in Germania nello 0,01%.

In sintesi, la Spagna oltre ad essere un vero deserto demografico mostra un profondo divario tra territori rurali e urbani. Sempre con i dati di Eurostat, in Europa ci sono una trentina di zone, distribuite in vari Paesi, in cui si concentrano oltre 40 mila abitanti per chilometro quadrato. E il 68% di queste zone si trovano in Spagna, in particolare nell’area metropolitana di Barcellona, ma anche a Madrid, Saragozza e Bilbao.

Secondo il professor Joaquín Recaño, ricercatore del Centre d’Estudis Demogràfics di Barcellona, questo squilibrio è dovuto al fatto che «non c’è una rete di città di medie dimensioni con una solida base economica al centro della penisola [iberica] in grado di assorbire l’esodo rurale, avvenuto a [partire dalla] metà del secolo scorso».

C’è chi ha voluto vedere in questa peculiare disuguaglianza un lato positivo, appoggiandosi al parere di alcuni studiosi di demografia, i quali affermano che «il talento emerge sempre nei luoghi più popolati». Se questo principio fosse attendibile, allora certi quartieri di Barcellona o di Parigi, crogiolo delle culture che oggi convivono in Europa, con una densità di popolazione che va oltre i 50 mila abitanti per chilometro quadrato, sarebbero i luoghi più adatti per una maggiore creatività.

Il problema però non è quello di avere una maggiore o minore creatività, ma la mancanza di persone che possano occupare e gestire i territori vuoti o quasi disabitati. Questa è la grossa sfida per attivare politiche che possano imprimere una svolta alla situazione.

In questo senso è stato presentato di recente da Fide, il principale think tank giuridico-economico in Spagna, lo studio Fondamenta e proposte per una strategia nazionale a lungo termine, elaborato da un gruppo di cento ricercatori, che definisce i 50 obiettivi prioritari dei prossimi 30 anni. Tra questi c’è l’incremento dell’immigrazione legale. Nella presentazione del documento, il primo ministro Sánchez si è così espresso: «Per contenere la riduzione della sua forza lavoro, il nostro Paese dovrà accogliere e integrare centinaia di migliaia di immigrati da qui al 2050, realizzando un equilibrio migratorio di oltre 191 mila persone ogni anno».

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