Un ricongiungimento familiare. A dieci anni lasciate le proprie certezze fra le sabbie di un villaggio vicino al deserto, cambia la scena. La vita è a una svolta. La storia di un bambino, poi adolescente in lotta con quella che – dicono – “malattia non è”, teso fra fedeltà alla tradizione e sete di novità. Oggi giovane uomo. Storia in bilico fra passato e futuro, fra ricordi e sogni. Storia tesa fra Marocco e Italia. Storia senza effetti speciali, senza colpi di scena ma unica come lo è ogni storia. Questa è quella di Ahmed. E non sono solo parole.

“È da leggere la storia di Ahmed scritta da Daniela Bignone perché racconta quel processo di integrazione “fai da te” che è l’altra faccia dell’assenza di politiche migratorie e di integrazione che ha segnato e segna l’Italia…Ahmed si presenta con le mani aperte, pronto a lavorare, a sentirsi membro responsabile di una nuova comunità nazionale. Ma quelle mani aperte sono strette da pochi. Ed è questo su cui dovremmo forse più seriamente riflettere. Non solo e non tanto in termini etici e solidali, ma di spreco di capitale umano, di talenti, di intelligenze. Perché è anche questo che è successo in questi anni e succede ancora. E leggendo il lungo racconto di Daniela Bignone questo è la percezione più forte che rimane. E viene da stringere, sia pure da lettori quella mano, di riconoscerlo come nostro concittadino, al di là del passaporto, parte di un “noi” che purtroppo rimane ancora in gran parte da far emergere. Non solo per gli Ahmed ma anche per noi”.

Dall’introduzione di Luca Borzani, docente e ricercatore, editorialista dell’edizione genovese de “la Repubblica”, ha fondato e dirige il mensile “La Città”, è Presidente del Centro Medì per la storia e la ricerca delle migrazioni.

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