Sognando l’estate con Shakespeare

430 anni fa (probabilmente!) il bardo scriveva una delle sue commedie più famose

È estate. E si ha voglia di spensieratezza. Un breve stacco (per chi se lo può permettere) dalle fatiche e dalle brutture del presente, per riconciliarsi con la propria anima, col mondo attorno. Si ha voglia di lievità. Di danzare con le Tre Grazie[1]Letizia, Splendore, Prosperità – immagini di ciò che rende leggero il cuore. Oppure si ha voglia di vagare senza meta nel bosco magico di quella deliziosa commedia di William Shakespeare che è Sogno di una notte di mezza estate. È proprio su questa che vorrei spendere due parole.

È vero che Shakespeare è celebrato per le sue grandiose tragedie, Re Lear su tutte, poi Macbeth, Otello, Amleto, Giulio Cesare, Romeo e Giulietta e via dicendo. Ma le sue commedie non sono affatto da meno. Sono fantastiche. Sono loro che mi hanno fatto innamorare del bardo inglese. Quando abitavo a New York non me ne perdevo una, cercavo ogni rappresentazione a off-off Broadway o quelle di Shakespeare in the Park, l’evento che metteva in scena gratuitamente, nel teatro all’aperto di Central Park, due commedie ogni estate, di cui almeno una di Shakespeare.

Il Sogno di una notte di mezza estate è un’opera in cui esplode tutta la fantasia del giovane Shakespeare. In ogni sua battuta sprizza la spensieratezza dell’estate. È un ingegnoso amalgama di amore, di magia, di equivoci, di situazioni comiche e surreali. È un intreccio di elementi diversi: è come se lo splendore di fili di seta fosse tessuto assieme a ruvide fibre di canapa filata in casa, è come se tra ragnatele ricoperte di rugiada filtrassero i raggi della luna.

Sogno di una notte di mezza estate è ambientata in una foresta incantata. I giovani Ermia e Lisandro si trovano nei guai poiché il padre di Ermia la vuole costringere a sposare Demetrio, mentre lei è innamorata di Lisandro. I due amanti decidono così di fuggire nella foresta per vivere il loro amore lontano dalle pressioni famigliari. Ma nella foresta si scatena una serie di eventi imprevedibili. Gli umani si trovano coinvolti nel mondo fatato, tra incontri notturni di amanti, balletti, canti delle fate. Hanno a che fare con Oberon e Titania, re e regina delle fate, e con il folletto Puck. Il quale lancia un incantesimo su Lisandro per farlo innamorare di Elena invece che di Ermia, ma finisce per far innamorare Titania di sé stesso, causando una serie di malintesi.

Anche Bottom, il fabbro, si trova coinvolto nelle vicende della foresta. Durante la notte Puck lo trasforma in un uomo con testa di asino e lo fa innamorare di Titania. La sua incapacità di comprendere la nuova condizione in cui è finito, dà un altro tocco di ilarità alla commedia. Nella notte di mezza estate, la foresta incantata diventa il luogo in cui la realtà si confonde e i sogni si avverano. Senza preoccupazioni, tutti si abbandonano al sorriso del presente e all’amore, tra lo sguardo complice della natura. La commedia ha un lieto fine. Dopo una serie di equivoci e di intrighi, le coppie si riuniscono e gli amanti trovano la felicità. Allora la magia della foresta si dissolve e tutto torna alla normalità. Lasciando dietro di sé una scia di gioia e di leggerezza. Proprio come ogni riposo estivo dovrebbe fare.

Sogno di una notte di mezza estate è un misto di gaiezza, di passione e di pensieri profondi, che continua ad affascinare il pubblico di tutto il mondo. Nei secoli è stata adattata in film, cartoni animati, ha ispirato musiche di Mendelssohn e di Britten. In essa esplode tutta l’irresistibile genialità di Shakespeare che, oltre a essere un grande poeta, era anche un avveduto uomo d’affari, un accorto produttore teatrale in sintonia con i gusti del pubblico, che sapeva entusiasmare e deliziare. Non si sa quando il Sogno sia stato composto. In un passaggio del secondo atto Titania descrive una recente brutta stagione, un’estate quasi invernale, con maltempo, nebbia, allagamenti. Su questa base, alcuni studiosi la collocano (forse!) nell’anno 1593. 430 anni fa. Ma è una commedia che nonostante l’età non ha perso nulla del suo fascino.

 

[1] Il riferimento è al gruppo marmoreo delle Tre Grazie (copia di epoca romana da originale ellenistico) della libreria Piccolomini del Duomo di Siena

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