Una società narcisista?

I rischi del reddito di cittadinanza se si sgancia dal lavoro. Quest’ultimo è prezioso perché lega le persone attraverso i reciproci bisogni. Da Città Nuova n. 12/2018

Ho recentemente visitato a Napoli la “Cappella del principe di San Severo”, col suo splendido “Cristo velato”. Nei lati ci sono imponenti statue che rappresentano alcune virtù, che in genere non vengono inserite nel classico elenco delle virtù cardinali e teologali. Tra queste mi ha colpito “la virtù del disinganno”, perché particolarmente preziosa e rara oggi. Il disinganno è anche una liberazione dalle illusioni, la cui offerta aumenta molto nei tempi di crisi morale.

Molti inganni si annidano dentro la sfera economica, anche perché, a causa della sua duplice natura di scienza complessa e di faccenda quotidiana, è particolarmente esposta a inganni, illusioni e manipolazioni. Pensiamo al tema del cosiddetto reddito di cittadinanza, che almeno da 30 anni occupa alcune delle migliori menti (incluso John Rawls, forse il più grande filosofo politico del XX secolo, che, tra l’altro, era contrario a un reddito di cittadinanza generalizzato). Immaginiamo una società dove ciascun individuo svolga soltanto le attività che ama fare. Non esiste alcun “mercato del lavoro”, perché non esiste nessuna domanda e nessuna offerta di lavoro. Cosa dovremmo aspettarci? Semplicemente una grande quantità di attività molto gratificanti per chi le pratica, senza alcuna garanzia che siano anche utili a qualcuno e quindi alla società.

Abbonderebbero gli escursionisti, i vacanzieri, i coltivatori di orti condominiali, allevatori e addestratori di animali e piante, e forse gli inventori di nuovi hobbies (non tutti pacifici e innocui) per riempire il tempo. Al tempo stesso, ci sarà una grande quantità di attività non particolarmente gratificanti per chi le svolge, ma altamente utili e necessarie per la vita in comune. Avremmo pochissimi o zero spazzini, manovali, manutentori delle autostrade, pochissimi infermieri negli hospice, autisti di bus notturni, camerieri. Sarebbe quindi una società di individui tutti concentrati sulle proprie passioni, senza alcuna garanzia di incontrarsi con le passioni e con i bisogni degli altri, o di incontrarsi soltanto all’interno di comunità elettive di persone molto simili.

Una società perfettamente narcisista. In un tale contesto immaginario e quindi estremo, possiamo comunque comprendere che cosa sia nella sua essenza il lavoro umano: è il legame che lega le persone attraverso i reciproci bisogni, è il cemento della società. È la principale cura civile del naturale narcisismo che ci porterebbe a sprofondare nelle cose che ci piacciono.

Il reddito è ciò che emerge dal soddisfacimento dei bisogni, è quel valore aggiunto che si crea mentre ci mettiamo insieme per incrociare bisogni e competenze. Il Pil non è altro che la somma, misurata in moneta, delle transazioni per reciproci bisogni che in un anno accadono in un Paese. Il mio reddito è il frutto della mia capacità di soddisfare un bisogno di qualcun altro (persona fisica o istituzione). Il barbiere guadagna perché taglia i capelli a gente che ne ha bisogno, il consulente offrendo consigli e competenze a persone e imprese che li chiedono. Il reddito e il lavoro sono la prima grammatica del discorso sociale.

Se iniziamo a sganciare il reddito dal lavoro, entriamo in un terreno molto pericoloso. Si capisce subito allora che un reddito, svincolato da un rapporto di reciproci soddisfacimenti di bisogni, mette in crisi la grammatica e il discorso sociale se diventa un sostituto del lavoro. Discorso diverso se il reddito che non viene da lavoro è “sussidiario” al lavoro che non c’è. Grazie alla rivoluzione tecnologica il lavoro vivrà qualche decennio di crescente scarsità, perché molti lavori stanno finendo, e perché i computer offriranno molti servizi oggi assicurati dalle persone. Ma ne nasceranno di nuovi, perché gli esseri umani amano troppo le azioni collettive produttive. Probabilmente il lavoro del futuro non sarà la sola fonte di reddito, ma resterà la più importante nella fase adulta della vita.

Lavoreremo diversamente, di meno, ma possibilmente tutti. E nel frattempo parliamo bene del lavoro, “benediciamolo”, e cacciamo via le illusioni.

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