Dopo il sisma, speranza e coraggio

Non si fermano le scosse e il vulcano continua a preoccupare. Stanziati dieci milioni per i primi interventi. La gente vuole reagire e ricostruire    

Il dopo-terremoto ha il volto di Sergio e Maria Grazia. Il 29 dicembre hanno pronunciato il loro si. La celebrazione nuziale era programmata nel santuario di Maria Santissima della Catena, ad Acicatena. Ma la chiesa è stata danneggiata dal sisma, come la maggior parte delle chiese del paese. Il parroco, don Sebastiano Privitera, li ha uniti in matrimonio nella piccola chiesa di San Giuseppe, una delle poche ancora agibili.  «È stata una cerimonia molto bella – commenta don Sebastiano – questi giovani hanno costruito una nuova famiglia. Qui le chiese più grandi sono quasi tutte danneggiate. Sono rimaste in piedi le chiese più piccole».

È la vita che continua, nonostante tutto, in una cittadina dove, da sempre, gli abitanti, hanno imparato a convivere con il vulcano, con le eruzioni, a fare i conti con il terremoto. Tre scosse nella notte tra il 29 ed il 30 dicembre. La colata lavica si è arrestata, ma l’attività del vulcano continua e si teme che si possano aprire nuove bocche. La terra continua a tremare, il magma non si è arrestato. L’ultima scossa è stata registrata alle 19,30 del 30 dicembre. L’istituto nazionale di vulcanologia ha rilevato una magnitudo di 3.4 a due chilometri di profondità. Il terremoto è stato avvertito chiaramente dalla popolazione, già duramente provata, soprattutto a Ragalna e Zafferana Etnea, più vicini all’epicentro. Ci si prepara al Capodanno tra tristezza e preoccupazione: soprattutto ansia perché l’attività del vulcano non si ferma e si continua a temere per il futuro. Negli alberghi della zona vi sono più di 600 sfollati. Per loro, sarà un Capodanno triste.

Ma c’è anche la voglia di ricominciare di questa gente forte che ha imparato, da sempre, a convivere con il vulcano. Lorena racconta la sua esperienza della notte del 26 dicembre: «Mi sembrava di sognare, di cadere dal letto: invece era il terremoto. La mattina dopo ho letto che l’epicentro era Fleri e Zafferana, ho chiamato subito i miei amici che vivono lì». Lorena ed il marito, Filippo, hanno vissuto per alcuni anni a Pisano, altra frazione di Zafferana Etnea. Il pensiero corre veloce ai tanti amici che hanno lasciato da quelle parti. È un attimo: si mettono in auto e via verso Fleri. «Siamo andati subito da lei. Cristina era molto spaventata. Appena ci siamo viste, ci siamo consolate in un forte e lungo abbraccio. Poi abbiamo iniziato a raccogliere tutti i libri della libreria, vetri, specchi rotti.  ‘Era stato quasi lo stesso quando sono arrivati i ladri’ mi diceva.  Aveva gli occhi lucidi ed era sconvolta e preoccupata, preoccupata che potesse esserci un’altra scossa. Provavamo a riordinare e intanto raccoglieva i vestiti da portare via: insieme al figlio sarebbero andati a dormire altrove. Continuava a dirmi che io e mio marito eravamo i suoi angeli e che finalmente le era arrivato un pò di conforto».

«C’è tanta preoccupazione, tanta tensione» spiega il sindaco di Zafferana Etnea, Alfio Russo. Da quel 26 dicembre, la base della Protezione civile, in Municipio, è il punto di riferimento per i tanti bisogni della gente. «La situazione è più grave di quanto si potesse pensare. Già 400 abitazioni sono state dichiarate inagibili. E vi sono richieste di sopralluoghi in altre 1200 case. Molte abitazioni sono rimaste in piedi, ma hanno subito danni gravi e non sono più sicure. Stiamo cercando di fare il possibile per essere vicini alle persone, per ascoltare i loro bisogni, cercare di risolvere i problemi».

Nell’ultima domenica dell’anno, festa dedicata alla Sacra Famiglia, i vescovi di Catania ed Acireale, Salvatore Gristina e Antonino Raspanti, si sono recati nei luoghi del terremoto. Raspanti ha celebrato la messa all’aperto, nella piazza della frazione di Fiandaca. Molte chiese sono inagibili: ben 14 nella diocesi di Acireale. Nella piccola frazione di Pennisi il campanile della chiesa si è abbattuto sulla canonica, che è stata distrutta. Il parroco dormiva in una stanza che si è salvata: è uscito vivo dalle macerie. Fiandaca dà il nome alla faglia che attraversa uno dei versanti dell’Etna, quella più temuta perché gran parte dei terremoti (compreso l’ultimo del 1984, che tanti ancora ricordano), sono stati originati proprio da lì.

La Caritas di Catania e di Acireale ha promosso una raccolta di beni per le prime necessità.

La Regione ha stanziato dieci milioni per i primi interventi e per gli alloggi dei senza tetto. Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza. Ma le esperienze recenti di altre regioni, L’Aquila, l’Umbria, il Lazio, le Marche, non inducono all’ottimismo. I mesi che verranno saranno quelli più difficili. Ricominciare dopo il terremoto è difficile e lo è soprattutto per chi ha perso la casa o il lavoro.

(Ha collaborato Clara Digregorio)

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