Siria, chi ha rieletto Bashar al Assad?

Il 26 maggio 2021 si sono svolte le elezioni in Siria: il voto ha riconfermato presidente Bashar al Assad con il 95,1% delle preferenze. Si tratta veramente di un'elezione-farsa, come la definiscono Usa, Regno Unito e Ue (Italia compresa), o c'è dell'altro? In Medio Oriente c'è sempre molto altro.

Lo slogan principale della thawra (rivolta) siriana del 2011 era: Allah, Suriyya, Huriyya wu bas! (Dio, Siria, libertà, e questo è tutto!). Dopo 10 anni di guerre la rivolta è ormai accantonata, nel senso che ha mostrato i suoi molti volti, che esprimono ideologie, ingerenze e appetiti, con relativo traffico di armi, controllo di risorse, speculazioni, ecc. Con pesanti conseguenze di morti, feriti, esuli, sfollati. E povertà, fame, malattie, mancanza di tutto.

In questo percorso tremendo non è però venuto meno l’orgoglio siriano, quell’orgoglio, che è poi anche arabo, che non si ferma di fronte a nulla. Così lo slogan del 2011 si è trasformato (non senza una spinta del regime) ed è diventato: Allah, Suriyya, Bashar wu bas! (Dio, Siria, Bashar, e questo è tutto!). Tre cose, fuori tutto il resto.

Si può accusare il regime di molte cose negative, e talora o spesso (anche se non sempre) con dei fondamenti, ma resta un fatto che fa pensare: 13.540.860 voti (su 14,2 milioni di voti espressi pari al 77% circa degli aventi diritto) per Bashar al Assad non possono essere solo frutto di imposizione, frode, intimidazione, o di ignoranza e fanatismo.

Perché: che alternativa reale c’è oggi al regime di Assad per quei siriani che sperano ancora di restare siriani? Basta guardare la mappa della Siria con zone occupate o controllate da turchi, russi, statunitensi, israeliani, curdi, jihadisti di varie denominazioni e tendenze, con armi e consulenti iraniani, accordi con i cinesi, ecc. Mettendo in conto, poi, anche l’eterna contrapposizione identitaria fra gruppi etnici e religiosi, le tensioni fra letture islamiste radicali, contrapposte o concorrenti, e il vuoto di un’eredità storica in grado di sviluppare un’esperienza democratica inculturata, non è corretto condannare tout-court un paese e la sua identità (orgogliosa) tacciandolo di inscenare una farsa, come fa da tempo l’Occidente e parte del mondo arabo, e non solo. Tanto più che chi condanna è quasi sempre ampiamente coinvolto in forniture di armi e in aspirazioni di spartizione o ricostruzione, se non di saccheggio del Paese. O, nel caso del mondo arabo, in alcune “farse” non troppo diverse.

Così il “presidente dinastico”, al potere dal 2000, quando successe al padre Hafez, ha consolidato la sua leadership (nella precedente consultazione aveva ottenuto soltanto l’89% dei consensi), certo non senza il “via libera” di Russia e Iran. Ma per capire un po’ il progresso che questa elezione esprime, occorre anche considerare che rispetta il dettato costituzionale: la Costituzione siriana è stata adottata nel 2012 da Bashar al Assad, ed è quindi figlia del regime (non potrebbe essere diversamente), ma va soprattutto detto che la Siria, prima di questa Costituzione è stata sottoposta alla Legge Marziale per 48 anni, dal 1963 al 2011, senza nessuna garanzia costituzionale di alcun genere. E che l’alternativa prospettata alla Costituzione era la sharia secondo la versione dell’Isis (Daesh).

Su queste basi si comprende almeno un po’, per esempio, l’orgoglio espresso dai media siriani quando affermano, come fa il quotidiano al Tishrin (senza dubbio filo-governativo per il solo fatto di esistere), che queste “elezioni sono sinonimo di coraggio, arabismo e umanità” e che “consacrano la democrazia nazionale”. Sono convinzioni che la gente in gran parte condivide sinceramente queste considerazioni, e chi ha delle riserve ha ormai lasciato il Paese da tempo.

In questa complessità, di cui ho accennato solo alcuni elementi, qui come altrove, sarebbe tempo di mettere da parte le “condanne a priori” per tirannie antidemocratiche, terrorismi e fondamentalismi vari. Su questa strada non si va da nessuna parte. C’è bisogno di dialogo, c’è assoluto bisogno di dialogo. Le esperienze in questo senso che si stanno avviando, pur con tutte le riserve, con i talebani in Afghanistan o con Hamas a Gaza potrebbero aprire la strada. Ancor più in Siria è tempo di eliminare le sanzioni che affamano la gente, e cercare una strada nuova. Di morti, ingiustizie e danni ce ne sono stati abbastanza.

 

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