Per la prima volta un capo di stato siriano è stato ricevuto alla Casa Bianca. Il 10 novembre scorso a Washington il presidente ad interim della Siria, Ahmed al-Sharaa, ha incontrato Donald Trump, che ha annunciato dopo l’incontro il rinnovo della revoca temporanea delle sanzioni contro Damasco e l’apertura di rapporti diplomatici regolari. Nella conferenza stampa successiva allo storico incontro, Trump ha detto: «Vogliamo vedere la Siria diventare un Paese di grande successo. E credo che questo leader possa farcela, davvero». E poco conta il fatto che il presidente siriano sia stato accolto alla Casa Bianca senza passare dall’ingresso principale, quello per i capi di stato, ma da un accesso laterale. La prudenza si capisce, se si considera chi è Ahmed al-Sharaa, sulla cui testa fino all’anno scorso pendeva una taglia da 10 milioni di dollari istituita proprio dagli Stati Uniti.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Poco più di un anno fa, l’8 dicembre 2024, con la fuga di Bashar al-Assad a Mosca, per la Siria iniziava una nuova fase dopo 13 anni abbondanti di guerre complicate, che hanno ridotto il paese allo stremo. Ribelli islamisti di varie denominazioni, coalizzati intorno alla formazione Hay’at Tahrir al-Sham (Organizzazione per la liberazione del Levante), da anni asserragliati ed assediati nella regione nord-occidentale di Idlib, a fine novembre 2024 avevano rotto l’assedio ed erano dilagati fino a Damasco in pochi giorni, mentre l’esercito del regime evaporava come neve al sole. Il leader di Tahrir al-Sham (Hts) e della mission impossible si chiamava Abu Muhammad al-Jolani, nome di battaglia di Ahmed al-Sharaa. Quell’al-Sharaa che sciolta Hts il 29 gennaio 2025 (integrata insieme ad altre milizie nel nuovo esercito siriano), è diventato de facto l’attuale presidente ad interim della Siria. Il 13 marzo 2025 è stata inoltre varata una nuova Costituzione provvisoria (per 5 anni) basata sulla giurisprudenza islamica (l’islam sunnita è la religione di circa il 50% della popolazione siriana), che non definisce però l’islam come religione di stato, anzi contiene tutele per le numerose minoranze etno-religiose: quelle islamiche (sciiti, alawiti, ismailiti) e druse, ma anche cristiane (ortodossi, siriaci, armeni, melchiti, caldei, maroniti, assiri) ed altre (mandei, yazidi). Tutele spesso solo sulla carta, ma quello che conta è che almeno lì ci siano.

Sostenitori di al-Sharaa davanti alla Casa Bianca dopo l’incontro con Trump. © EPA/ JIM LO SCALZO/ ANSA
Se sotto un profilo interno, in Siria non mancano certo le tensioni fra diversi gruppi, talora con scontri anche sanguinosi, e complesse difficoltà a definire gli accordi di autonomia con i curdi, dal punto di vista della politica internazionale al-Sharaa ha ottenuto in un solo anno riconoscimenti che sembravano impossibili da immaginare. Come accennavo, sulla sua testa pesava una taglia statunitense da 10 milioni di dollari, che è stata annullata a dicembre 2024. Sono seguiti accordi con gli Usa mediati dal principe saudita Mohammed bin Salman (temporaneamente sospese la maggior parte delle sanzioni statunitensi alla Siria), ma anche con l’Unione Europea, con la Russia (ex sponsor del regime di Assad) e con la Turchia, l’alleata principale dei ribelli siriani anti-regime, ma anche feroce oppositrice dei curdi siriani del Rojava. In questi giorni la Siria ha tra l’altro annunciato anche l’adesione alla Coalizione internazionale contro lo Stato Islamico (Isis), dopo che agli inizi della sua carriera al-Sharaa aveva aderito proprio all’Isis (2011-2013) e poi ad al-Qaeda (2013-2016). È solo dal 2017 che il leader siriano ha abbandonato le formazioni jihadiste per privilegiare la liberazione della Siria dal regime degli Assad, che durava complessivamente da più di 50 anni.
Al-Sharaa ha incontrato Donald Trump due volte quest’anno, a maggio a Riad e a novembre a Washington: da parte del presidente siriano c’è un evidente interesse per una mediazione statunitense con Israele, ma anche per una raccomandazione americana al Fondo monetario internazionale in vista delle aperture di credito necessarie alla ricostruzione. Il presidente siriano è stato inoltre nei Paesi del Golfo, ha parlato all’Assemblea generale dell’Onu ed ha ultimamente partecipato al vertice sul clima (Cop30) in Brasile. Al-Sharaa mostra di ritenere molto importante questo credito internazionale per sperare nella ricostruzione della Siria, pur senza sottovalutare i rapporti interni, che significano la sopravvivenza di una Siria ancora troppo fragile, come dimostrano le continue violenze settarie tra le varie componenti interne del Paese.