Sindrome di Hurler: curare una malattia ultra-rara attraverso la terapia genica

Circa 400 persone in tutto il mondo soffrono di mucopolisaccaridosi di tipo 1H, 26 di loro in Italia. Questo numero elevato rispecchia la maggiore capacità del nostro Paese di diagnosticare questa malattia. Pubblicati i risultati del primo lavoro al mondo sulla sindrome di Hurler

Forse qualcuno ricorderà l’articolo pubblicato lo scorso giugno su Città Nuova, in cui si parlava di un’innovativa terapia genica per la Mucopolisaccaridosi di tipo I; con una sperimentazione guidata dalla dott.ssa Maria Ester Bernardo, presso l’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano. Nell’intervista alla dott.ssa Bernardo si annunciava che si era prossimi alla conclusione di questa fase della ricerca; e oggi possiamo annunciarne la sua pubblicazione – dopo il meticoloso processo di “peer review”, ossia di controllo della correttezza di quanto eseguito ed analizzato da parte di altri esperti – sul prestigioso New England Journal of Medicine. Allo studio hanno collaborato anche l’Università Milano Bicocca, il Centro Maria Letizia Verga di Monza, e l’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze.

La sindrome di Hurler, detta anche mucopolisaccaridosi di tipo 1H, è dovuta alla mancanza di un enzima che degrada particolari zuccheri, i glicosaminoglicani, che accumulandosi possono danneggiare diversi organi. Con un’incidenza di un caso su 100mila nuovi nati è considerata una malattia ultra-rara: attualmente sono circa 400 i casi noti nel mondo, 26 in Italia – numero evidentemente sproporzionato rispetto ai casi totali, ma che rispecchia la maggiore capacità del nostro Paese di diagnosticare questa malattia.

La terapia genica fornisce una versione corretta delle informazioni genetiche necessarie per produrre l’enzima mancante. Per prima cosa si prelevano, dal paziente stesso, le cellule staminali ematopoietiche, che danno origine a elementi del sangue come i globuli rossi e bianchi o le piastrine. Le cellule dei pazienti vengono poi messe a contatto con un vettore virale, un virus modificato in modo da non essere più capace di replicarsi, ma soltanto di entrare nelle cellule e trasportarvi le informazioni genetiche desiderate. Il virus di partenza utilizzato dai ricercatori è l’HIV, l’agente responsabile dell’AIDS. Negli ultimi anni i vettori derivati dall’HIV, di cui mantengono solo una piccola porzione della sequenza originale, sono sempre più usati come strumenti terapeutici e in questo senso, spiega l’Istituto San Raffaele-Telethon, «siamo leader nel mondo: di tutti i pazienti con malattie genetiche rare trattati ad oggi nel mondo con questo tipo di vettore, detto lentivirale, un terzo hanno ricevuto il trattamento a Milano». Una volta corrette, le cellule staminali vengono restituite ai pazienti attraverso una infusione nel sangue e possono raggiungere i vari organi, dove rilasciano l’enzima funzionante in grado di degradare le sostanze altrimenti tossiche.

«Gli effetti positivi della terapia genica sul metabolismo di questi bambini si sono visti presto – ha commentato Maria Ester Bernardo. Le loro cellule hanno iniziato rapidamente a produrre grandi quantità dell’enzima, che ha ripulito organi e tessuti dai metaboliti tossici accumulati. Dal punto di vista clinico abbiamo osservato la progressiva acquisizione di nuove competenze motorie e cognitive tipiche della loro età, oltre a un’ottima crescita in altezza e a una riduzione di altri sintomi tipici della sindrome come rigidità articolare e opacità della cornea. La cautela è d’obbligo: sono passati soltanto due anni dalla terapia, dovremo continuare a osservare questi bambini per verificare che gli effetti positivi continuino nel tempo. Quanto osservato finora, però, ci fa davvero ben sperare».

Questo nuovo approccio di terapia genica è frutto di oltre dieci anni di ricerca dell’SR-Tiget, in cui ha svolto un ruolo cruciale Bernhard Gentner, responsabile dell’unità di ricerca traslazionale sulle cellule staminali e leucemie e primo autore dello studio appena pubblicato. Tra i fattori chiave c’è stata la precedente esperienza di successo su un’altra malattia genetica dovuta all’accumulo di sostanze tossiche “non smaltite”, la leucodistrofia metacromatica, per la quale alla fine del 2020 la terapia genica è stata approvata come farmaco in Europa.

«Ci siamo chiesti come potessimo perfezionare ulteriormente la terapia e grazie agli esperimenti in laboratorio abbiamo capito come modificare tempi e modalità di correzione delle cellule staminali con il vettore virale – commenta Gentner –. Il nuovo “processo” ci ha permesso sia di velocizzare l’attecchimento delle cellule corrette nei pazienti, sia di aumentare la quantità di enzima funzionante prodotto fino a 50 volte rispetto ai livelli normali. Questo potrebbe rappresentare un ulteriore vantaggio anche rispetto al trapianto di cellule staminali ematopoietiche, che ad oggi è l’unico trattamento che può in parte migliorare l’andamento della malattia, purché fatto precocemente e in presenza di un donatore compatibile. Al momento, però, non abbiamo ancora abbastanza dati in questo senso, serve più tempo».

Conclude Alessandro Aiuti, vicedirettore dell’SR-Tiget e professore ordinario di Pediatria all’Università Vita-Salute San Raffaele, che ha coordinato lo studio: «il percorso è ancora lungo ma è incoraggiante che i tempi di sviluppo di queste terapie si stiano accorciando grazie all’esperienza accumulata in questi anni. Si potrà così ampliare l’orizzonte delle malattie trattabili con la terapia genica con cellule del sangue corrette come una “super-fabbrica” dell’enzima mancante in vari tessuti, replicando così questo approccio ad altre patologie simili che oggi non hanno una cura efficace».

L’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica di Milano (SR-TIGET), diretto dal Prof. Luigi Naldini, è nato nel 1995 grazie a una joint venture tra l’Ospedale San Raffaele e Fondazione Telethon. Per trasformare i risultati della ricerca in terapie per i pazienti, negli anni sono stati stretti accordi con diverse case farmaceutiche: non certo con obiettivi di “arricchire Big Pharma”, ma nell’ottica di un’alleanza strategica che consenta di rendere effettivamente disponibili le terapie messe a punto da queste ricerche. La prima terapia genica approvata e messa in commercio è stata, nel 2016, quella per l’immunodeficienza ADA-SCID; nel 2020 è appunto arrivata quella per la leucodistrofia metacromatica, mentre in fase avanzata di sviluppo clinico e prossima alla registrazione è quella per la sindrome di Wiskott-Aldrich. Sono in tutto sette le terapie, tra quelle già approvate e quelle in fase di sviluppo.

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