Sindaci di lotta e di governo

Una manifestazione di primi cittadini. Un segnale di disagio. Un'opportunità per la politica.
Manifestazioni

Lei non ha avuto dubbi. C’erano in ballo 180 bambini e la scuola per l’infanzia andava costruita. Come già deliberato da sindaco e giunta precedenti. Così Monica Gibillini, giovane avvocato e dal 2008 primo cittadino di Bareggio, 17 mila abitanti in provincia di Milano, ha detto: avanti! Una decisione non senza conseguenze, perché significava il mancato rispetto dell’impegno di concorrere a contenere la spesa pubblica nei limiti previsti negli accordi europei (il cosiddetto “patto di stabilità”).

Ebbene, nel settembre scorso è stata inaugurata la nuova struttura, che ospita sei classi con 28 alunni ciascuna. Un investimento sull’educazione e sulle nuove generazioni. Tanto di cappello! E invece è venuta giù la grandine: lo Stato ha tagliato i trasferimenti per l’anno in corso, ha obbligato a ridurre la spesa corrente, ha vietato l’assunzione di personale. Ma ha pure diminuito del 30 per cento i compensi di consiglieri, assessori e sindaco. Così, l’avvocato Gibillini pagherà per le sue rivoluzionarie decisioni.

Con la sua bella fascia tricolore indosso anche la signora di Bareggio, iscritta al Pdl, ha partecipato alla manifestazione dei sindaci della Lombardia a Milano l’8 aprile scorso. Segnatevi la data.

È un episodio che ha creato un precedente assai significativo. Innanzi tutto perché erano oltre 500 i primi cittadini che in corteo si sono recati dal prefetto di Milano – quale rappresentante locale del governo – per riconsegnargli la fascia di sindaco. «Solo simbolicamente – hanno precisato –, perché costa 60 euro». Poi, perché l’adesione è stata trasversale agli schieramenti e ai partiti.

«Ora, nel governo, nessuno potrà più fare finta di niente», hanno commentato successivamente quegli stessi sindaci. Adesso si tratta di vedere quando sarà fissata la data per l’apertura – questo l’impegno del governo – di un tavolo con gli amministratori locali.

 

La risolutezza dei sindaci non è stata apprezzata dal ministro Tremonti, chiamato a tenere sotto controllo il bilancio pubblico. «Il patto di stabilità sarà cambiato – ha fatto presente il titolare dell’Economia – ma con il tempo giusto». E poi non ha celato il suo malumore: «La risposta ad un problema serio è la serietà, non la protesta in quel modo». Due affermazioni che non hanno incontrato il favore dei sindaci.

Tanto meno di Attilio Fontana, sindaco leghista di Varese e presidente della sezione regionale dell’Anci, l’associazione dei comuni d’Italia. «Da dieci anni – spiega – subiamo da parte dello Stato tagli economici e l’imposizione di obiettivi di risparmio ormai non più sopportabili. Abbiamo i conti in regola, ma ci vengono tolti i trasferimenti e ogni forma di autonomia tributaria. Addirittura c’è stato impedito di investire i soldi risparmiati». Al di là delle appartenenze partitiche, i primi cittadini hanno chiaro il senso del mandato loro affidato: «Siamo stati eletti per fare i sindaci, ovvero per sviluppare i nostri territori e aiutare chi tra i nostri concittadini è in difficoltà: questo non può venirci impedito». E fanno presente che la spesa dei comuni lombardi s’è ridotta nel 2008 di 400 milioni di euro.

La situazione è «particolarmente grave», viene precisato, per i piccoli comuni, che, nella regione, sono 1.152 (sotto i 5 mila abitanti). «I tagli ai trasferimenti e la mancata compensazione dell’Ici di questi anni stanno mettendo in ginocchio i loro scarni bilanci». L’imposta comunale sugli immobili è stata tolta, come prevista nel programma dell’attuale governo, ma non sono arrivate risorse sostitutive a titolo di rimborso.

Ecco perché i sindaci chiedono ora di modificare obiettivi e regole del patto di stabilità, di sbloccare le risorse per i pagamenti di lavori e servizi già effettuati, oltre a varare con rapidità una legge che renda permanenti i trasferimenti ai comuni in sostituzione del mancato gettito dell’Ici. Sollecitano infine il governo ad applicare quanto previsto dalla legge sul federalismo fiscale.

 

Siamo al preludio del partito dei sindaci? Al braccio di ferro su una fiscalità decentrata? Alle prove generali di una rivolta delle città? A noi sembra ci sia altro ma non di minore impatto.

Il disagio, lo sappiamo, non concerne solo i sindaci della Lombardia o del Nord Italia, ma di tutti gli oltre 8 mila comuni della Penisola. Se i lombardi si sono mossi in modo organizzato, pur potendo contare in gran parte su persone dello stesso partito nel governo provinciale, regionale e nazionale, ciò significa che le istituzioni civiche vengono percepite sempre meno vicine alle esigenze dei cittadini. Ed essi hanno lanciato l’allarme.

Non è solo questione di carenza di risorse. In gioco sembra ci sia molto di più. I sindaci avvertono che la dimensione comunale resta l’ultimo baluardo nel rapporto vitale cittadini-istituzioni. Se anche questo livello si deteriora, la disaffezione verso la politica e la gestione della cosa pubblica si ingigantirà irrimediabilmente. E di un governo locale avvertito come estraneo non ha da beneficiarne alcun soggetto, nemmeno il più cinico e spregiudicato.

La recente manifestazione dà perciò la sveglia agli altri sindaci. Ma è anche un invito ai cittadini, tanto più se associati, a non lasciarli soli, ad attivare un di più di partecipazione per recuperare – lontano da egoistiche logiche di localismo – l’esercizio pubblico del bene comune nell’ottica dell’unità del Paese.

Paolo Lòriga

 

I comuni dopo il voto

 

I ballottaggi per l’elezione dei sindaci hanno suggellato la vittoria del centro-destra, segnata dalla conquista di molte città-simbolo della sinistra, a partire da Mantova. Altro dato politicamente rilevante: la Lega ha la meglio nei comuni in cui ha corso da sola, dissociata dal Pdl. A Vigevano, addirittura, lo scarto tra il candidato della Lega e il candidato del Pdl è passato dai mille voti del primo turno ai diecimila del ballottaggio. Casi che dimostrano (come già Lecco, dove invece il candidato del centro-sinistra si è affermato al primo turno contro il vice-ministro Roberto Castelli, sostenuto da tutto il centro-destra), quanto sia fondamentale la scelta della persona e la sua capacità di ispirare fiducia e raccogliere consenso. Elementi che per l’elezione del sindaco si dimostrano sempre più qualificanti, al di là dell’alto astensionismo che il ballottaggio fa registrare. Lo si capisce anche dal voto “dissociato” espresso nell’urna: con più schede in mano, il voto per la Regione non ha necessariamente trascinato anche la scelta del candidato sindaco.

Sono proprio i sindaci, infatti, le figure istituzionali che più fungono da riferimento per i cittadini e si pongono come collegamento con i livelli di governo superiori, superando le contrapposizioni partitiche. La protesta di cui si parla nell’articolo dimostra la capacità dei sindaci di “fare rete” tra loro, di qualunque colore siano.

È un monito per la classe politica. Scegliere i candidati “giusti” può muovere di nuovo la partecipazione dei cittadini e invertire la tendenza: dall’allontanamento progressivo al progressivo riavvicinamento della politica e delle istituzioni al “territorio”, da riscoprire come comunità locale. Alla vigilia dei cambiamenti che l’attuazione del federalismo fiscale porterà, è necessario investire su questo rinnovato rapporto cittadini-istituzioni che parte dal basso, con la vocazione di costituire però il tessuto democratico di tutto il Paese.

Iole Mucciconi

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