I sikh nella pianura pontina

Nella provincia di Latina vivono 12 mila sikh. Molte aziende li sfruttano e sono numerosi gli episodi di violenza verso persone silenziose, operose e rispettose del prossimo. Per approfondire il libro "Spezzare le catene" sulla piaga del caporalato e del lavoro servile nell’Italia di oggi.

A partire dagli anni ’80 la pianura Pontina ha registrato un forte flusso migratorio in entrata proveniente dall’India, in particolare dalla regione del Punjab. Secondo una stima della Cgil i sikh presenti nella provincia di Latina sono circa 12 mila, la maggior parte dei quali impiegati nel comparto agricolo.

La religione spinge i sikh a essere delle persone silenziose, operose e rispettose del prossimo aldilà dall’estrazione sociale, l’origine e la fede professata. Purtroppo, nonostante la tolleranza, i sikh, probabilmente a causa del loro essere sostanzialmente mansueti, sono state vittime del caporalato e dello sfruttamento negli immensi latifondi pontini.

I lavori che i sikh sono costretti ad accettare per sopravvivere rientrano a pieno titolo in quelle che, la ricerca di Inmigrazione.it, definisce le 5P: pesanti, precari, pericolosi, poco pagati, penalizzati socialmente.

I ragazzi indiani lavorano prevalentemente come braccianti nei campi, ma non manca chi è occupato nel settore dei vivai, i più fortunati sono quelli che, grazie ai risparmi accumulati con il sudore della fronte, riescono ad aprire i tradizionali minimarket.

Parlando con alcuni braccianti della zona, ci si accorge come i sikh siano caduti in un inganno linguistico: i datori di lavoro diventano “padroni” e non a caso.

Il rapporto che intercorre tra i sikh e i cosiddetti “caporali” è di totale subalternità, i braccianti sono costretti ad accettare stipendi che oscillano tra i 3 e i 5 euro l’ora. Il lavoro inizia la mattina presto e finisce tra le 17 e le 18, senza pausa e in condizioni di scarsa sicurezza.

I padroni arrivano a chiedere ai sikh di tagliare la barba, che per queste persone ha importanza spirituale e religiosa.

La comunità sikh nella provincia di Latina è organizzata e riesce a garantire ai suoi membri informazioni, sostegno e solidarietà.

Tuttavia la cronica mancanza di servizi nella zona ha reso la solidarietà della comunità l’unico aiuto per la persona, rendendola univoca e assoluta. Questa situazione ha trasformato la sua positività in un potenziale limite, che accresce l’isolamento e la mancanza di dialogo con la popolazione del luogo.

Tramite il passaparola i sikh trovano casa in complessi, come quello di Bella Farnia, isolati sia fisicamente che culturalmente. Luoghi che nel tempo sono diventati ghetti sociali ed etnici, terreno fertile per fenomeni di sfruttamento interno alla comunità.

Ed è proprio a Bella Farnia che uno di questi ghetti è diventato teatro di spaccio di stupefacenti e, secondo i residenti italiani, di un diffuso fenomeno di prostituzione.

Il residence è abitato da circa 1000 indiani sikh e poco più di un centinaio di italiani, la struttura è isolata e mancano i servizi elementari, ma per chi lavora nei campi è comoda poiché si trova al centro dei grandi latifondi della pianura pontina.

Il difficile rapporti con i datori di lavoro si è acuito con la partenza della cosiddetta “Fase 2”. Va ricordato per completezza d’informazione che i braccianti sikh non hanno potuto lavorare durante il lockdown ma, nel momento della ripartenza, qualcosa nell’agro pontino è andato storto.

In settimana infatti si è verificato l’ennesimo episodio di sfruttamento nelle campagne pontine, l’ennesima storia drammatica che fa capire quanto l’integrazione dei sikh sia ben lontana dall’avverarsi.

L’episodio è avvenuto all’interno di un’azienda agricola di Terracina (LT), all’interno della quale lavorava la vittima, un bracciante indiano. Il ragazzo ha avuto la “colpa” di chiedere al datore di lavoro di fornire ai lavoratori i dispositivi di protezione per evitare i contagi di Covid-19 (comprese le mascherine).

Per tutta risposta, secondo gli inquirenti, i due padroni hanno inizialmente licenziato il bracciante e, successivamente, sono passati alle maniere forti: minacce e un’aggressione con calci e pugni, arrivando a gettare il ragazzo in un canale di scolo.

Fortunatamente la storia si è conclusa in maniera positiva, visto che i due aguzzini sono attualmente agli arresti domiciliari ma hanno negato la ricostruzione dei fatti, accusando il bracciante di averli aggrediti.

Successivamente i due accusati sono stati scarcerati ma l’inchiesta continua.

Qualche giorno fa, Joban Singh, bracciante indiano di 25 anni, si è suicidato all’interno del residence di Bella Farnia. Secondo Marco Omizzolo, sociologo che da sempre combatte per i diritti dei braccianti pontini, il ragazzo non avrebbe retto alla solitudine e alla fatica di una vita fatta di fame e sfruttamento.

Purtroppo questi sono soltanto gli ultimi di una serie di lunghi episodi di sfruttamento e violenza a cui però la politica non ha mai di fatto dato una risposta, anzi.

Ad esempio l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, ed ex sindaco di Terracina, Nicola Procaccini, nel febbraio di quest’anno ha definito il settore agricolo nel quale lavorano i braccianti sikh un modello di integrazione, chiedendo che si faccia un’operazione verità in merito.

Ci sono diversi studi che confutano quanto riportato dall’europarlamentare. Infatti Amnesty International in un rapporto sullo sfruttamento dei lavoratori migranti nel settore agricolo italiano cita le gravi forme di sfruttamento dei lavoratori migranti provenienti da paesi dell’Africa subsahariana, dell’Africa del Nord e dell’Asia, impiegati in lavori poco qualificati nel settore agricolo delle province di Latina e Caserta.

Anche Hilal Elver, Special Rapporteur Onu sul Diritto al Cibo, a gennaio di quest’anno ha denunciato la presenza di molte aziende agricole anche dell’Agro Pontino fondate sullo sfruttamento, senza protezioni sociali e legali adeguate, con orari lavorativi eccessivamente lunghi e salari bassissimi.

Per approfondire il libro “Spezzare le catene” sulla piaga del caporalato e del lavoro servile nell’Italia di oggi.

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