Sicilia, vince Musumeci. Centrodestra al governo

L'ex presidente della Commissione regionale antimafia non avrà però una maggioranza netta e stabile. Il Parlamento siciliano risulta diviso in due. Primo partito della Regione il M5S, è crollato invece il Pd. Anche se la sinistra si fosse unita, dai dati probabilmente avrebbe comunque perso. Numeri e curiosità di queste votazioni.

La Sicilia ha deciso: si affida a Nello Musumeci. Candidato per la terza volta consecutiva, l’ex presidente della Commissione regionale antimafia (incarico ricoperto nell’ultima legislatura) riporta il centrodestra alla guida della Regione. Il suo successo (40 per cento dei suffragi) è probabilmente superiore alle attese. La coalizione che lo ha sostenuto conquista 36 dei 70 seggi all’Ars (Assemblea regionale siciliana).

Il Parlamento siciliano (così come si chiama nell’isola il consiglio regionale) risulta spaccato in due: da una parte Musumeci e le liste che lo sostengono, dall’altra tutti gli altri. Un posto preminente spetta ai 5 Stelle, che potrebbero conquistare 20 seggi, mentre il Pd potrebbe averne 11, Sicilia Futura conquista e la lista Cento Passi, a sostegno di Claudio Fava, avranno un rappresentante. Dovrebbe essere eletto lo stesso Claudio Fava. Per la sinistra, rimasta esclusa cinque anni fa dall’assemblea per una manciata di voti, un ritorno importante che permetterà di avere un ruolo nella vita politica siciliana.

La governabilità: con 36 seggi su 70 (se il risultato sarà confermato) Nello Musumeci ottiene una risicata maggioranza assoluta. Nel nuovo Parlamento è quasi parità tra deputati di maggioranza da una parte e forze di opposizione dall’altra. Nell’opposizione il fronte è variegato: Pd, Sicilia Futura, 5 Stelle e Cento Passi (la lista che ha raggruppato le varie anime della sinistra). La legge elettorale siciliana è proporzionale, ma il cosidetto “listino” (sette eletti nella coalizione del presidente, compreso lo stesso governatore) diventa, in qualche modo, un correttivo maggioritario. Un correttivo “piccolo”, comunque insufficiente a consentire al presidente eletto di governare con il sostegno di una maggioranza certa e stabile. A Musumeci è andata bene, ma non è una maggioranza netta. Non fu diverso cinque anni fa per il governatore Crocetta, che di seggi ne conquistò anche meno, ma che riuscì a governare cinque anni (e a superare ben tre mozioni di sfiducia) grazie ad alcune “migrazioni” di deputati eletti in altre liste, che si spostarono nella sua coalizione. I “cambi di casacca” hanno caratterizzato la legislatura che si è chiusa: sono stati ben 89 (alcuni hanno compiuto persino tre o quattro cambiamenti nell’ambito della stessa legislatura). Davvero troppi per non cominciare a pensare alla necessità di vincolare, in qualche modo, la posizione degli eletti. Difficile pensare al “vincolo di mandato” in un Paese che vede i partiti agire senza regole, ma di certo sarebbe necessario apportare un correttivo per porre un argine ad un malvezzo di certo non determinato da ragioni politiche né ideali.

Rosario Crocetta nuovo presidente della Sicilia
Rosario Crocetta, ex presidente della Sicilia

Gli sconfitti: sconfitto è soprattutto il Pd che, per cinque anni ha sostenuto il governo Crocetta, che negli anni ha scontentato sempre più i siciliani. Il Pd paga il prezzo di un governo impopolare e che lascia strascichi pesanti nell’isola. Rosario Crocetta non è stato ricandidato, probabilmente troverà posto nelle future liste per le elezioni nazionali. Le dichiarazioni di alcuni leader del partito non faticano ad attribuire all’impopolarità del governo uscente le cause della sconfitta. Il Pd ha provato a cercare il candidato eccellente, l’attuale presidente del Senato Pietro Grasso, che però ha declinato l’invito. Ha poi individuato il rettore dell’università di Palermo, Fabrizio Micari, indicato anche dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando che avrebbe voluto riproporre sull’isola il modello vincente che ha funzionato in occasione della sua quinta elezione a Palazzo dell’Aquila. Ma la Sicilia è un’altra storia! E la lista di Arcipelago Sicilia, la lista dei “territori”, è naufragata.

Il Movimento 5 Stelle aveva puntato tutto sulla Sicilia, ma non è riuscito a conquistarla. Oggi, però, i 5 Stelle sono il primo partito della Regione, nonché la più importante forza di opposizione. Da dieci anni le elezioni siciliane precedono di qualche mese la competizione elettorale nazionale. Questo fa diventare il voto nell’isola una sorta di anticamera di prove generali delle future alleanze. E anche stavolta potrebbe essere così.

Alcuni dati: alcuni candidati fanno l’en plein di preferenze. A Messina, il ventunenne Luigi Genovese, figlio di Francantonio (ex Pd, oggi Forza Italia), condannato a undici anni di reclusione, ha ottenuto 17 mila voti. A Catania, un altro giovane, Luca Sammartino (Pd), alla sua seconda esperienza all’Ars, di voti ne ha ottenuti 32mila. I grandi bacini elettorali tengono ancora! La lista “Cento Passi” ha riportato un proprio rappresentante a Palermo (cinque anni fa non riuscì per pochi voti) e questo permette di completare il quadro politico siciliano, dando visibilità a tutte le anime partitiche. Non raggiunge l’Ars, anzi nemmeno la sfiora, il movimento “Siciliani Liberi” di Roberto La Rosa (sostenuto dal docente universitario Massimo Costa) che ha riportato in primo piano il tema dei diritti dei siciliani, danneggiati e non avvantaggiati dall’autonomia.

giancarlo-cancelleri-foto-ansaLe anomalie: Giancarlo Cancelleri ottiene più voti rispetto alla sua lista, il Movimento 5 Stelle. Il voto disgiunto ha dunque premiato il leader grillino, per il quale sono scesi in campo, pesantemente, Di Maio, Di Battista e lo stesso Beppe Grillo. Cancelleri aveva il sostegno di una sola lista, anche questo pesa non poco sul risultato finale. Il candidato del Pd, Fabrizio Micari ha invece ottenuto meno voti della coalizione che lo ha sostenuto: molti voti in libera uscita, dunque, rispetto ad un candidato che, fin dall’inizio, non ha goduto dei favori del pronostico e sembrava predestinato ad una sconfitta certa. E coloro che lo hanno candidato lo hanno poi, in qualche modo, abbandonato.

L’analisi: Uniti si vince, divisi si perde. Vince Musumeci perché la coalizione di centrodestra ha trovato l’unità, nonostante le mille scaramucce della vigilia: le primarie annullate, tante ambizioni e tante candidature diverse. Perchè solo alcuni volevano Musumeci candidato, altri avevano puntato su candidati diversi. Cinque anni fa il centrodestra diviso perse, oggi, con numeri e percentuali non molto dissimili, riesce a vincere. Cinque anni fa, le divisioni del centrodestra favorirono Crocetta, oggi  l’unità li premia. Anche il centrosinistra è diviso, ma questa volta, numeri alla mano, avrebbe perso lo stesso, anche se si fosse presentato unito.

Nello Musumeci guidava una coalizione anomala, una grande alleanza dove le posizioni della destra storica (Diventerà Bellissima e la lista del presidente) sembravano fare da contraltare ai partiti leader della coalizione, per primo Forza Italia. L’intera campagna elettorale è stata dominata dal tema degli “impresentabili”, volti non sempre specchiati e al di sopra di ogni sospetto, le cui candidature hanno destato non poche perplessità. Uno dei candidati, il sindaco di Priolo, Antonello Rizza, è stato persino arrestato pochi giorni dopo la presentazione delle liste. Ha continuato la sua corsa per l’Ars, ma non è stato eletto. Nello Musumeci aveva invitato i suoi alleati a presentare delle liste “pulite”: non è stato ascoltato. Poi ha addirittura lanciato l’appello ai suoi elettori, chiedendo di fare una selezione ed una scelta di coerenza, quella scelta che non avevano saputo fare i partiti. Musumeci, uomo onesto, dovrà fare ora i conti con gli alleati. Secondo alcuni, egli sarà costretto ad ascoltare le richieste, a subirne ne pressioni, sarà “condizionabile”. Altri assicurano – ed egli stesso lo ha ribadito – che sarà lui il leader, la guida della coalizione di governo. La storia dei prossimi mesi ci dirà cosa potrà accadere.

I problemi e le attese. La Sicilia si trova nel baratro di una crisi economica che, da queste parti, pesa più che altrove. Il PIL è basso, l’isola conta 400mila disoccupati, molte famiglie vivono al di sotto della soglia di povertà. L’agricoltura, settore trainante dell’economia dell’isola, è in crisi e le politiche comunitarie non la avvantaggiano. Il PSR non riesce ad incidere ed a sostenere lo sviluppo reale delle aziende. Il turismo non decolla (nonostante l’incremento delle presenze nell’isola), il sistema delle infrastrutture (strade e ferrovie su tutto) è deficitario. L’autostrada Messina-Catania è stata completata solo qualche anno fa, quella Siracusa-Gela è attesa da decenni e viene finanziata “a spicchi”. Le casse della Regione sono vuote ed i continui tagli dei trasferimenti ai comuni hanno messo in crisi gli enti locali, che non riescono a sopravvivere ed a garantire i servizi. Le province, abolite, potrebbero ritornare dopo anni in cui sono state rette da commissari. In maniera anomala e tra mille rinvii. Su questi temi e su quelli della composizione della nuova squadra di governo (libera scelta di Musumeci o sottoposta ai condizionamenti delle forze politiche?) si gioca il futuro della Sicilia. Come sempre, alla prova dei fatti!

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