Sicilia: nuova Assemblea tra luci e ombre

Maggioranza schiacciante per il centrodestra nel nuovo consiglio regionale siciliano che, in virtù dello Statuto, ha lo status di "Parlamento". Se non ci saranno cambi di casacca, il nuovo presidente Schifani potrà governare senza intoppi. Cateno De Luca spariglia le carte. Tornano in pista i partiti degli ex presidenti Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo. La povertà crescente è uno dei problemi dell’isola
Renato_Schifani (wikipedia)

La sua vittoria è stata netta. Il distacco inflitto agli avversari importante. L’elezione di Renato Schifani alla presidenza della Regione siciliana non è mai stata in dubbio. Ciò che non era previsto era il notevole scarto di voti tra Schifani, eletto con più del 40% dei suffragi dei suoi avversari. A sorpresa (ma non troppo nelle ultime settimane) al secondo posto si piazza Cateno De Luca. Nettamente più attardati Caterina Chinnici che ha l’appoggio del fronte del centrosinistra e Nuccio Di Paola, dei 5 Stelle.

Il responso delle urne consegna a Renato Schifani una maggioranza solida. L’ex presidente del Senato potrà contare sull’appoggio di 41 consiglieri (7, tra cui egli stesso, eletti nel listino). Fratelli d’Italia e Forza Italia avranno 13 consiglieri regionali (in Sicilia denominati deputati regionali). Il partito della Meloni ha un numero maggiore di consensi, ma le urne regalano lo stesso numero di deputati eletti.

La Lega (che si presentava con il simbolo di Prima l’Italia), la nuova Dc e i Popolari e Riformisti ne hanno 5 ciascuno. Il partito di Salvini non sfonda in Sicilia, e ottiene probabilmente un risultato inferiore alle attese. Di rilievo il risultato di due partiti che fanno capo a due ex presidenti della Regione: la nuova DC di Totò Cuffaro (nelle cui liste confluisce l’Udc) e i Popolari e Autonomisti che si richiamano all’ex presidente Raffaele Lombardo. Il ritorno dei due testimonia il radicamento nel territorio di due presidenti pure molto discussi.

L’opposizione ne avrà 29: 11 ciascuno sono stati assegnati a Pd e 5 Stelle, Cateno De Luca ne promuove solo 7, un risultato nettamente inferiore rispetto al risultato elettorale, ma la gran parte delle sue numerose liste a sostegno non hanno superato lo sbarramento o addirittura hanno ottenuto pochi voti. Tra i 7 c’è lui stesso che entra all’Ars come miglior secondo. Cateno De Luca (o “Scateno” come è stato ribattezzato da un giornalista) riesce nell’impresa di far eleggere nella sua Messina una senatrice e un deputato.

I recordman delle preferenze sono Luca Sammartino, catanese, di Prima L’Italia Lega (passato in precedenza da Articolo 4, PD, Italia Viva), Edy Tamajo, di Palermo (Forza Italia). Entrambi sono coinvolti in inchieste giudiziarie (archiviate nel caso di Tamajo, ancora in corso per Sammartino). In provincia di Ragusa l’ex sindaco di Modica, Ignazio Abbate trascina da solo la lista della Dc, con 12.500 preferenze su un totale di 13.600. Eppure il seggio viene attribuito in extremis perché disputato fino all’ultimo con la Lista di De Luca, dove il più votato si ferma a 1800 preferenze, meno di un quinto di Abbate. Stranezze della legge elettorale, ma anche del voto di alcune liste dove a trascinare è il candidato presidente, non i candidati delle liste.

Caterina Chinnici (che aveva vinto le primarie con Barbara Floridia, dei 5 Stelle e Claudio Fava, della Sinistra, poi risultate inutili) non entra all’Ars. Continuerà il suo mandato come parlamentare europea (alla seconda legislatura). All’Assemblea Regionale siciliana ci sarà invece il candidato 5 Stelle Nuccio Di Paola, eletto nei collegi.

Cateno De Luca ha tentato il colpaccio. Il suo consenso è cresciuto nelle ultime settimane e qualcuno aveva persino ipotizzato un suo sorpasso al fotofinish. Ciò non è accaduto.

Il centrodestra conferma la sua leadership nell’isola, incontrastata ormai da decenni. Nelle ultime 6 legislature, da quando cioè la nuova legge consente l’elezione diretta del presidente della Regione, il centrodestra ha vinto cinque volte su sei, eccezion fatta per la legislatura Crocetta (2012-2017). Spesso, troppo spesso, i governi dell’isola e i rappresentanti eletti hanno dovuto fare i conti con problemi giudiziari, con ombre e sospetti che hanno collegato troppo spesso Palazzo dei Normanni (sede dell’Ars), Palazzo d’Orleans (sede del governo siciliano) e le aule di alcuni tribunali. E, in questo caso, le inchieste giudiziarie non hanno risparmiato nessuno dei due fronti politici tradizionali.

Anche il neo-governatore, già sfiorato da inchieste nei primi anni di questo secolo e poi uscito indenne dai procedimenti, è coinvolto in uno dei filoni del cosiddetto “caso Montante”, aperti dalla Procura di Caltanissetta. Anche in questa elezione abbiamo assistito all’arresto di due candidati. Due giorni dopo il voto, l’Operazione “Sangue Blu”, condotta dalla Dia e che ha scompaginato i clan catanesi Santapaola-Ercolano, ha rivelato i rapporti (solo elettorali) tra uno dei nuovi deputati e uno degli arrestati.

Il nuovo presidente della Regione alla fine della prossima settimana. Dovrà subito fare i conti con la composizione del nuovo governo, dove tutti i partiti reclamano visibilità. Il neo-presidente ha già fatto sapere di voler privilegiare gli eletti all’Ars, ma patendo dalle specifiche competenze. Solo eccezionalmente si ricorrerà a dei tecnici. Se la presidenza della Regione è andata a Forza Italia (in virtù del veto a Nello Musumeci imposto dal presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè), sullo scranno più alto di Sala d’Ercole dovrebbe sedere un esponente di Fratelli d’Italia. I nomi più gettonati sono quelli del palermitano Alessandro Aricò e del ragusano Giorgio Assenza. Le grandi manovre sono iniziate.

I gruppi di opposizione, per ora, stanno a guardare, consci del compito difficile che li attende. Pd e 5 Stelle sono divisi e con 11 parlamentari ciascuno svolgeranno un ruolo non di primo piano. I 7 deputati eletti nelle liste di De Luca non saranno l’ago della bilancia (come probabilmente il leader avrebbe sperato). La maggioranza di centrodestra per ora, è solida se non sarà condizionata dalla litigiosità interna.

Le priorità per il nuovo governo, sono molte: la prima è l’indice di povertà crescente dell’isola e la mancanza di prospettiva per i giovani. Se nel secondo dopoguerra emigravano i contadini con le valige di cartone, oggi emigrano i giovani laureati (spesso in università del Nord), le grandi professionalità che in Sicilia non trovano sbocco. E l’isola continua a perdere i suoi cervelli.

La nuova maggioranza torna a parlare del ponte sullo Stretto di Messina, anche se per tanti quest’opera grandiosa non è la priorità. Lo è certamente la viabilità siciliana e la rete ferroviaria obsoleta e quasi inutilizzabile. L’autostrada Palermo – Catania, in questi giorni, ha numerosi cantieri aperti e spesso si viaggia su una sola corsia. Poi ci sono i porti e, con i fondi del Pnrr, si potrebbe potenziare il porto di Pozzallo.

Altra emergenza: la questione ambientale e la gestione dei rifiuti. Il governo Musumeci, nonostante le attese, non è riuscito ad affrontarla. I termovalorizzatori dovrebbero essere realizzati, ma nel 2022 il problema è diventato drammatico, con la chiusura di molte discariche (anche private) e con molti comuni costretti a portare i loro rifiuti indifferenziati in altre Regioni, con costi esorbitanti.

Agricoltura (un tempo motore dell’isola), cultura, scuola e turismo sono altri temi caldi che, se il nuovo governo saprà affrontarli adeguatamente, potrebbero determinare una svolta nel futuro dell’isola.

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