«Siate audaci, siate coraggiosi»

Queste, e altre, le parole di Bergoglio rivolte ai vescovi e a tutto il popolo di Dio dell’Asia. Una visita che ha cambiato il volto della Thailandia

Scene finali, al termine della messa pubblica di giovedì sera. Papa Francesco scende dall’altare e si dirige verso i “deboli”, i “diversamente abili” che lo attendono poco distante: una ragazzina cieca accompagnata da una suora lo saluta e lo abbraccia. Francesco non se ne va e rimane volontariamente avvinghiato a quella personcina. Sono lacrime che colano. La commozione nella gente che segue dagli schermi è palpabile, partecipante, profonda. Papa Francesco sancisce con questi saluti, che proseguono con altri giovani in carrozzina, quanto ha predicato nei giorni del suo soggiorno thailandese: l’attenzione agli ultimi, agli scartati a coloro che non contano. Lui, uno che conta davvero per il mondo intero, si ferma e “perde tempo” con chi non ha voce, non ha visione o peggio. Sta con coloro che nessuno vuole vedere, perché troppo diversi. Il papa sancisce con l’esempio, quello che la Chiesa cattolica, in primis, ha fatto e continua a fare in Thailandia, in Laos, Myanmar, Cambogia Vietnam, Cina, Filippine… E potrei continuare nominando ogni nazione in questa parte del mondo: s’inchina, abbraccia, cura, sana chi non ha denaro per pagare ed è rifiutato persino dalla propria famiglia.

Bergoglio ha poi iniziato la giornata di venerdì al santuario del beato Nicholas Bunket e l’ha proseguita con l’incontro di sacerdoti, religiosi, consacrati, seminaristi e catechisti nella parrocchia di San Pietro, adiacente al santuario. Poi di nuovo con i vescovi della Fabc, la Federazione delle conferenze episcopali dell’Asia. Ha chiesto ai presuli di «avere pazienza col gregge, quanta Dio ne ha con noi: e non è poca». Il suo linguaggio nelle omelie è stato sommesso: non erano parole forti, le sue, sbattute in faccia alla gente, ma solo “donate” per essere accolte oppure rifiutate: eppure sono state parole «più forti di una pallottola» come qualcuno ha commentato. E spesso, di proiettili, in questa regione, numerosi cristiani ne hanno fatto l’esperienza, magari attraverso subdole persecuzioni, come perdere il lavoro perché sei cristiano.

Pope Fransic visits Thailand

Allo stadio di Bangkok, con 60 mila persone circa, c’è stata una festa, un «inno alla bellezza», come è stata definita la celebrazione da una suora. Uno degli aspetti importanti, è stata la maestosa coreografia, interpretata da 800 studentesse, tutte rigorosamente scalze per rispetto all’ospite. Una festa di rara bellezza per tutti: thailandesi, birmani, laotiani, vietnamiti, cambogiani, cinesi dalla Cina continentale e quant’altri erano presenti. Poi, al santuario del beato Nicolas Bunket, sventolava una grande e bella bandiera dalla Cina tenuta da un bel gruppetto di fedeli, evidente segno dell’atmosfera di pace, fede e speranza che dal Vaticano è arrivata in Cina e si estende all’Asia intera. Ormai è evidente che «pace è fatta tra Cina e Vaticano», come hanno commentato alcuni analisti della regione. E questo è un auspicio per gli altri Paesi della regione che vogliono rapporti diplomatici col Vaticano. Il papa, nel suo discorso ai religiosi, ha non a caso ripreso alcuni punti sull’inculturazione: «Far di tutto affinché nel popolo non ci sia la percezione di una religione straniera, che viene da lontano». E poi: «Non ci si limiti soltanto a tradurre, ma a usare i dialetti locali per annunciare il Vangelo». Un messaggio che arriva dal recente sinodo per l’Amazzonia, in cui il tema dell’inculturazione ha segnato un notevole passo in avanti.

Pope in Thailand

Un altro segno lasciato da Francesco? Il papa che, seduto, è intento a togliersi le sue grosse scarpe nere, col monaco buddhista che lo guarda ritto in piedi e lo attende, sorridente, per poi accompagnarlo nella sala dove lo attendevano gli altri monaci. E poi non va dimenticato il saluto che papa Bergoglio ha dato, per rispetto della cultura thai: il wai, con le mani congiunte sul petto. Non avrebbe dovuto, essendo lui “più grande” dell’interlocutore: eppure lo ho fatto di fronte ai monaci e di fronte anche a dei bambini, nella grande pagoda dorata Wat Ratchabophit Sathit Maha Simaram. Un papa per tutti, con tutti, un papa che si “fa Eucaristia” per gli altri, si direbbe.

Pope Fransics visits Thailand

Ancora un’immagine. Il ventesimo patriarca buddhista, Somdej Phra Maha Muneewong, capo supremo di milioni di fedeli, scalzo, che accoglie papa Francesco: lo guarda e gli tiene le mani. Passano i secondi, tanti, e il patriarca non molla le mani di Francesco. Continuano a parlarsi e si sorridono. Quelle mani intrecciate sono tenute assieme troppo a lungo per risultare solo una convenzione formale o casuale: dice affetto, ammirazione e stima reciproca. Si può forse dedurne che i non cristiani hanno capito papa Bergoglio e “non vogliono mollarlo”.

Asia Pope

La Thailandia di oggi non è forse più quella di una settimana fa. Lo dimostra l’ondata mediatica positiva innescata da Bergoglio: il Bangkok Post, ad esempio, riporta molte delle parole del papa, compresi i suoi richiami a combattere la tratta degli essere umani che passa innegabilmente dal territorio thai. Con umiltà il papa ha conquistato la fiducia dei thailandesi. Un’ultima nota. Forse pochi hanno notato che la macchina usata per portare il papa nel secondo giorno non era una limousine, ma una vecchia Toyota, umile e modesta. Un messaggio lanciato al clero thailandese: meglio entrare a Gerusalemme con un asino piuttosto che a bordo di una fiammante Lexus.

 

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