Shalom dialogo e conoscenza

Solo qualche settimana fa mi trovavo al muro del pianto, a Gerusalemme, dopo essermi recato in visita al Santo Sepolcro. La distanza tra i due luoghi mi era parsa tragicamente lunga, e mi ero detto – ricordandomi di un pensiero di Emmanuel Lévinas – che quelle poche centinaia di metri sarebbero state annullate soprattutto dalla riscoperta continuata nel tempo e testardamente voluta delle comuni radici. Ritrovando il volto dell’altro, del diverso da sé. Ebbene, nel simposio ebraico-cristiano di Castelgandolfo promosso dai Focolari per quattro giorni si è cercato di guardarsi negli occhi, scrutando i rispettivi volti per cogliervi l’immagine e la somiglianza di Dio celata in ognuno di essi. E così la shekinah, la presenza di Dio, s’è sentita, commentava l’israeliana Aliza Ring. È successo, senza ombra di dubbio, come sin dai primi momenti s’era intuito. Faceva in effetti una certa impressione udire il susseguirsi rapido delle presentazioni dei partecipanti al simposio – una cinquantina di ebrei e altrettanti cristiani, provenienti, oltre che dall’Italia e dai paesi europei, da Israele, Argentina, Stati Uniti e Messico – un’autorevole rappresentanza del popolo ebraico nel mondo. Nell’umiltà di dirsi pronti all’ascolto, per imparare, emergeva la passione di ognuno per il dialogo. Numerosi ebrei presenti hanno voluto cominciare col loro saluto più tipico, shalom, mentre alcuni cristiani hanno desiderato rispondere loro imitandoli: pace a voi, hanno detto. Ciò dava il senso della fraternità profonda che viene dalle comuni radici. Fratelli maggiori – l’espressione significativa usata da Giovanni Paolo II nella sua storica visita alla sinagoga di Roma del 13 aprile 1986 – sin dai primi passi del simposio è sembrata la esemplificazione di una realtà. Fratelli maggiori siamo noi ebrei – commentava il rabbino argentino Abraham Skorka -, ma voi cristiani non siete per questo fratelli minori. Ormai siamo solo fratelli. Popolo eletto Incontrandoci con voi, sappiamo di incontrarci con l’Israele vivo, il popolo eletto che ha un suo stupendo, gioioso e doloroso, cammino: l’Israele di sempre, certo, testimone prezioso che i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili. E speriamo che voi sentiate di incontrarvi con la comunità di Gesù, che, oggi ha la sua storia, ma che cerca sempre di riattingere, con fedeltà, alle sue origini. È stato il prof. Giuseppe Maria Zanghì, direttore della rivista di cultura Nuova Umanità e corresponsabile del dialogo interreligioso nei Focolari assieme a Natalia Dallapiccola, a introdurre i lavori del simposio, sottolineando quanto tale appuntamento fosse atteso come un convenire di amicizia, un luogo ove riscoprire le comuni radici e ove condividere non solo e non tanto dotte riflessioni, che pure ci sono state, quanto la vita che nasce dal reciproco amore.Nel corso del convegno, i numerosi momenti di dialogo – in sala, ma soprattutto nei corridoi, nel parco o nella sala da pranzo – hanno evidenziato questo stile assolutamente originale del simposio (vedi box a p. 34). Quale la strada per far riuscire il dialogo? Consumarsi in un unico cuore, in un’intelligenza che sia solo amore, ha detto Zanghì. Fino a gioire nel profondo dei doni degli uni e degli altri. Il primo dono è stato quello offerto da Chiara Lubich, dapprima con un suo caloroso messaggio ai partecipanti, in cui tra l’altro scriveva: Che cosa ci può essere di più autentico nel nostro simposio di vivere quello spirito espresso nel Primo Testamento e comandato da Gesù Cristo come prima legge dei cristiani: l’amore di Dio e l’amore del prossimo? Mi auguro che possiate non solo approfondire, ma assaporare, costruire queste realtà. La fondatrice dei Focolari è stata ancora presente con una conversazione tenuta da Giuseppe Maria Zanghì – Dio amore nel pensiero di Chiara Lubich -, assieme al discorso in video su L’unione con Dio introdotto da un tema di Natalia Dallapiccola su L’amore e il dolore nel pensiero cristiano. Ma tutti coloro che hanno presentato dei loro specifici contributi (vedi boxa p. 33), sempre in coppia – un ebreo, un cristiano – hanno portato il loro mattone alla costruzione della comune dimora. Che il taglio dell’intervento fosse spirituale o esegetico, teologico o sociologico, ogni relatore non s’è atteggiato a unico detentore della verità. Comune sentire La visita del card. Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, e presidente della Commissione per i rapporti con l’ebraismo, si è svolta nel segno di una fresca simpatia, nella comune ricerca di un terreno d’intesa, o meglio, di un continuo approfondimento di un comune sentire avviato da Giovanni XXIII, dal card. Agostino Bea, dal rabbino Toaff e da altri ancora. Il cardinale ha ripercorso le tappe del dialogo ebraico-cristiano promosso dalla Chiesa cattolica nella seconda metà del secolo scorso, ed ha tratteggiato le tre sfide che si parano dinanzi a tale dialogo: continuare la reciproca conoscenza, perché ciò che non si conosce fa paura ; promuovere sempre più i comuni valori, tanti e fondamentali; e collaborare sempre più e sempre meglio al servizio dell’uomo. Il card. Kasper ha voluto e saputo conquistare il cuore dei presenti raccontando come, poco alla volta, sia arrivato a comprendere l’importanza della Terra per gli ebrei, tutti gli ebrei, come un elemento costitutivo della propria identità. Parlare di disprezzo da eliminare o di fossati da riempire pareva quasi anacronistico, perché in quei momenti disprezzo e fossati non esistevano, eliminati o riempiti dall’amore vissuto e approfondito nel corso dei quattro giorni del simposio, naturalmente senza voler mai negare le diversità e le diverse opinioni su tanti argomenti. Dal papa Il culmine del simposio è risultata a dire comune la partecipazione all’udienza generale in piazza San Pie- tro. Benedetto XVI, andando incontro ai partecipanti al convegno e salutandoli calorosamente al termine della udienza, ha più volte espresso la gratitudine per la loro presenza, raccomandandosi alle loro preghiere per il ministero che è stato chiamato a svolgere. Grande la riconoscenza degli ebrei verso il nuovo papa, da subito così attento al rapporto coi fratelli maggiori. Commenterà il rabbino capo di Bruxelles, Albert Guigui: Il papa mi ha chiesto di pregare per lui… Sono caduto dalle nuvole, perché questo era un gesto di vera complementarietà, quella sola che viene da Dio e che porta alla pace. Che tale prospettiva non sia stata solo un auspicio, lo testimonia tra l’altro l’interesse manifestato nel corso del simposio per l’apertura a temi politici, trattati però in modo alto: Non possiamo e non dobbiamo fare politica qui – commentava il rabbino Skorka, argentino -, ma dobbiamo fare in modo che si faccia vera politica. Aggiungeva Lucia Fronza Crepaz, cristiana, ex deputato: Che si possa parlare di fraternità politica tra cristiani ed ebrei, dopo la Shoah, è qualcosa di grande . E Lisa Palmieri Billig, ebrea romana: Ho partecipato a molti congressi di dialogo, ma qui non c’è stata paura di esporsi: qui c’è stata vera comunicazione spirituale, che porta frutti, anche in politica. CONTRIBUTI PARALLELI E CONVERGENTI Al Centro Mariapoli di Castelgandolfo dal 23 al 26 maggio, sono stati quattro i giorni di intenso dialogo, attorno al tema:Amore di Dio, amore del prossimo nelle tradizioni ebraica e cristiana. Nel corso del simposio sono stati approfonditi temi quali il concetto dell’uomo nelle due tradizioni (rabbino Abraham Skorka, rettore del seminario rabbinico latinoamericano di Buenos Aires, e Anna Pelli, della scuola Abbà); la presenza e il silenzio di Dio nelle due tradizioni (rabbino Jack Bemporad e prof. Gérard Rossé); la relazione tra Dio e l’umanità (con due profonde relazioni della prof. Irene Kajon della Sapienza e di padre Jesús Castellano del Teresianum); la presenza di Dio in seno al popolo ebraico (discorso del rabbino capo di Bruxelles, Albert Guigui) e nella comunità cristiana (della sociologa brasiliana Vera Araújo); L’immagine divina fonte e principio dell’amore a Dio e all’uomo nell’ebraismo (nelle parole del rabbino David Rosen di Gerusalemme) e Due amori o un solo amore nella tradizione cristiana (nella riflessione della teologa Alba Sgariglia). INTELLIGENZA TUTTA AMORE Alcuni passaggi dell’intervento introduttivo di Giuseppe Maria Zanghì. Sappiamo che è stato ipotizzato uno scontro globale e mondiale di civiltà, animato da insanabili e incontenibili contrasti religiosi. Ma non possiamo pensare invece, a una possibile composizione armoniosa delle differenze? Quelle differenze che non devono essere motivo di scontro perché in esse si fa presente l’inesauribile infinita ricchezza di Dio, che nessuno di noi, nessun popolo, da solo, può rivelare? Se le differenze sono così vissute, come benedizioni di Dio, l’incontrarci come diversi non conduce allo scontro fratricida ma si apre in canto di lode e di gloria alla grandezza di Dio. Tu riveli a me un aspetto stupendodel mistero nascosto di Dio ed io a te. E nell’unità tra noi, come arcobaleno nel cielo, si apre sul mondo il volto di amore di Dio. In questo incontrarci lodando Dio per le diversità, ci possiamo aiutare l’un l’altro ad essere fedeli proprio alla irripetibile chiamata di Dio per ciascuno di noi; possiamo comprenderci sino in fondo in ciò che abbiamo di più prezioso: il nostro rapporto con Dio (…). Comunicandoci con lealtà e sincerità i doni che Dio ha elargito a ciascuno di noi, sono certo che l’amore uno e indiviso di Dio ci accoglierà nella sua unità che sorpassa ogni intelligenza. Perché ciò sia, è necessario che ciascuno di noi sia se stesso sino in fondo, fedele ai doni che Dio gli ha fatto, gli fa. E questi doni offra in regalo, in comunione, agli altri. Perché ciò sia, è necessario che ciascuno ascolti sino in fondo l’altro, senza pregiudizi, vuotandosi di sé per essere per l’altro dimora accogliente. Questo deve essere il tono, il senso, di questi nostri giorni di incontro. Niente di accademico, niente di puramente erudito, ma solo l’apertura di ciascuno all’altro in un ascolto che è insieme accoglienza di un dono e dono restituito, e che conduce la conoscenza nel grembo dell’amore, la fa amore. Tutti i temi (…) saranno allora un’occasione per alimentare e fare crescere nei cuori la nostra fede in Dio, il nostro amore senza rivali per lui. E, insieme, l’amore rispettoso tra noi (…). Perché ciò non sia semplice desiderio, Chiara Lubich ci propone una strada che tutti noi possiamo percorrere (…): ci chiede di ascoltarci l’uno l’altro, con una intelligenza che sia tutta amore. Non cerchiamo null’altro fra noi se non che l’amore fedele per Dio cresca nei nostri cuori, e si apra nell’amore fra noi, nell’amore degli uni per gli altri. Fino a gioire tutte le volte che scopriremo l’uno nell’altro questo amore fedele per Dio.

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