Sguardi da un altro mondo

Massimiliano e Fabrizio Massimiliano reggeva in braccio Fabrizio, il quarto figlio che si era affacciato alla vita da pochi mesi. I loro sguardi si incrociarono: fu solo un attimo, sufficiente però a far vibrare la mia anima. Fu come se, in quel confondersi di due profondità luminose, Dio si rendesse visibile, si rivelasse per quello che è, amore. In quell’attimo, mi chiesi se ci fosse nella vita di un uomo missione più ardita e affascinante di rendere lui presente nella storia. Anche con la sua bellezza; come quello sguardo tra un padre ed un figlio. Sì – dissi a me stesso -, c’è ancora spazio per la felicità a questo mondo. Giovanni e sua moglie Si chiamava Giovanni. Non riuscii a percepire, invece, il nome della donna sulla carrozzella seduta al suo fianco. La creatura debilitata dall’Alzhaimer, col volto segnato dall’età, era comunque sua moglie. Non fui capace di staccare lo sguardo da loro due. Qualcosa mi tratteneva. E poi avevo stranamente tempo. Per non dare troppo nell’occhio estrassi dallo zaino un libro ed inforcai gli occhiali scuri. Rimasi appostato così ad osservare i due: Giovanni non smise neppure un istante di accarezzare quel volto e quei capelli. Accompagnava il gestodelicato della mano con brevi parole sommesse. Forse cantò una melodia. Dubitai che la donna potesse cogliere qualcosa di quelle carezze, di quelle frasi, di quegli occhi che cercavano un incontro. La malattia non era una cortina impenetrabile? Poi la mia lucida razionalità fu scardinata da altri pensieri: così come certe parole non si odono con le orecchie, neppure c’è bisogno di un cervello efficiente per farsi nutrire da sguardi, tenerezze. Qui era un fatto d’anima. Compresi così che la donna era mantenuta in vita dall’amore delicato di Giovanni più che dalle flebo nelle sue vene. Poi lui e lei si guardarono per un attimo. E lì provai qualcosa di indicibile, lì trionfò in me la certezza che l’amore è destinato a vincere. Per fortuna avevo gli occhiali, a nascondere le lacrime che in quel momento rigavano il mio volto. Non ebbi più l’occasione di rivedere quelle creature ma se chiudo gli occhi colgo ancora la bellezza dell’istante in cui contemplai quell’icona d’un amore gratuito che lega terra e cielo, che fa sperare ancora. Ignazio Ignazio mi guarda dritto negli occhi. Non è abitudine, la sua. È un desiderio di incontro. Il velo di stanchezza non annebbia la luminosità del suo volto parlante. Nell’entrare nella sua stanza, un leggero timore mi pervade. Ciò che mi appresto a fare è molto più grande di me. Qualcosa che mi contiene e mi supera. Inizia un dialogo fatto di silenzi e sguardi. E poi ancora sguardi e silenzi eloquenti. È la stessa sensazione di quando ci si trova di fronte al mare nelle prime ore del giorno. Ignazio sorride quando gli dico che, se tra due persone c’è l’amore reciproco, lì c’è Dio. Mi congedo da lui con la certezza di esserci detti tutto. È l’ultima volta che lo vedo. Ma in quel susseguirsi di attimi silenziosi Ignazio mi ha detto qualcosa di veramente vicino al cielo. Quello sguardo di uno così vicino alla morte mi ha fatto innamorare della vita.

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