Sfratti e case vuote. Le origini del problema a Roma

Senza blocco degli sfratti almeno tremila famiglie rischiano, ad inizio anno, di restare senza casa a Roma, la città col consumo di suolo "pro capite" tra i più alti d’Italia. Le origini del caos di una Capitale dalle troppe periferie sempre pronte ad esplodere. Prima parte dell’intervista al professor Carlo Cellamare del dipartimento di urbanistica dell’Università la Sapienza
sfratti

Il mancato blocco degli sfratti per morosità incolpevole deciso dal governo Renzi, lascerà almeno 30 mila famiglie senza casa ad inizio 2015 secondo il Sunia, l’organizzazione che rappresenta gli inquilini. La Confedilizia applaude la scelta che rompe con una prassi trentennale definita demagogica anche perché l’esecutivo ha stanziato, con il decreto casa, fondi adeguati per sostegno agli affitti e agli inquilini che non possono pagare il canone della casa in locazione. Importi per milioni di euro giudicati, tuttavia, insufficienti dal Sunia che invita ad intervenire su prefetti e forze di polizia per evitare che per tante persone «il dramma si trasformi in tragedia». Un reale piano di intervento in Italia richiederebbe, sempre secondo l’organizzazione degli inquilini, un milione di case popolari.  Resta il fatto che anche nella Capitale, con un notevole numero di case sfitte, almeno 3 mila famiglie rischiano di non avere più un tetto sopra la testa. Come si spiega questa anomalia? Da dove partire per cercare una via di uscita coerente e giusta? Roma, come ogni metropoli, è sempre un gigante addormentato pronto a risvegliarsi traumaticamente come è avvenuto a fine 2014 con le proteste violente in un quartiere non proprio periferico della città come quello di Tor Sapienza. Carlo Cellamare è un profondo conoscitore delle questioni urbanistiche della Capitale. Docente universitario della facoltà di Ingegneria della Sapienza, in quel dipartimento di urbanistica sempre aperto a sostenere, con competenza, le istanze di partecipazione reale della popolazione delle periferie alla gestione del proprio territorio che racchiude tutte le contraddizioni respinte dal centro sempre più senza abitanti.

Ai tempi delle notti bianche e grandi opere veltroniane, come urbanisti e non solo, avevate denunciato la fragilità di quel “modello Roma” ma le responsabilità della situazione attuale partono da lontano. Come si può leggere la complessità della metropoli capitolina con uno sguardo retrospettivo?

«In effetti, i problemi di Roma nascono da molto lontano. La questione di fondo è che, salvo alcuni momenti eccezionali (come all’epoca della giunta Petroselli), non sono mai stati affrontati seriamente ed adeguatamente, colpevolmente o meno, intenzionalmente o meno, mostrando però quasi sempre un’inadeguatezza del governo della città. Questo ha fatto sì che i problemi, piuttosto che risolversi, si sono accumulati e incancreniti, diventando sempre più difficili da risolvere.

Il problema della casa è rimasto a lungo irrisolto ed è tuttora un problema aperto. Per cui molti hanno dovuto cercare, negli anni e nel tempo, soluzioni autonome e spesso al di sotto di standard accettabili. I forti flussi di popolazione che dal centro e dal sud d’Italia sono arrivati a Roma alla fine della seconda guerra mondiale, ma poi ancora quasi ininterrottamente fino a tutti gli anni ’70, non hanno trovato adeguate risposte né dal punto di vista abitativo né dal punto di vista lavorativo. E la città ha continuato a crescere su se stessa, e ha continuato a farlo fino ai giorni nostri; perché la popolazione ha continuato a crescere».

Ma ad un certo punto la crescita si è arrestata. In quale periodo?

«Solo dal 1991 la popolazione del comune di Roma si è andata stabilizzando a ha ridotto drasticamente la sua crescita. Ma questo perché è difficile o è troppo costoso trovare casa a Roma, per cui molta popolazione, soprattutto giovani coppie (e giovani coppie con un figlio), sono obbligate a cercare casa subito fuori Roma, nei comuni di prima cintura, ma spesso anche molto lontano, fino ad Orte, ad esempio, da cui poi le persone incrementano i già grandi, e umanamente faticosi e insostenibili, flussi di pendolarismo giornaliero su Roma. Oltre alle direttrici tradizionali verso i Castelli Romani o verso est, dove il comune di Guidonia – dopo una gestione scellerata – è ora praticamente un’unica conurbazione di oltre 200 mila abitanti (il comune più grande del Lazio dopo Roma) e dove si è formato un nuovo comune, quello di Fonte Nuova, costituito di sole espansioni urbane (provenienti dai vicini comuni di Mentana e di Guidonia, e collocate immediatamente fuori dal confine del comune di Roma) e privo di identità e luoghi di riferimento, registriamo aumenti di popolazione significativi su tutto l’asse Nord (Fiano e Capena sono tra i primi 30 Comuni d’Italia per tasso annuale di crescita della popolazione), l’asse sud-est e i due litorali nord e sud (anche Ardea è tra i primi 30 Comuni d’Italia per tasso annuale di crescita della popolazione); sviluppo che ha seguito e si appoggia alle grandi infrastrutture stradali e ferroviarie, incrementando (a causa dell’insufficienza del trasporto ferroviario regionale e metropolitano) quegli enormi flussi di traffico che gravitano quotidianamente su Roma. Insomma, quel modello di sviluppo insediativo così caotico e disorganizzato che ha soffocato Roma è diventato ampiamente metropolitano e sta soffocando l’intero territorio circostante la Capitale, con i drammatici effetti che conosciamo sull’Agro Romano e sul patrimonio storico-culturale e paesaggistico che lo costituisce».

(continua)

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