I sette vizi capitali nelle danze di sette coreografi

Al Festival Equilibrio di Roma, la Gauthier Dance con le coreografie di un set di prestigiosi artisti internazionali: menti visionarie che hanno interpretato uno dei sette peccati capitali
The Seven Sins
Dallo spettacolo "The Sevens sins", della Gautheir Dance, la coreografia "Greed", l'invidia, di Sidi Larbi Cherkaoui (Foto diPhoto Jeanette Bak)

Ha chiamato a raccolta il gotha dei coreografi internazionali, coinvolgendoli per una creazione a tema: interpretare, ciascuno secondo il proprio stile e la propria sensibilità, uno dei sette vizi capitali – lussuria, gola, avarizia, accidia, ira, invidia, superbia. Lui è il danzatore e coreografo canadese Eric Gauthier direttore artistico della Gauthier Dance//Theaterhaus Stuttgart, compagnia per la quale lo spettacolo The seven sins è stato creato. A tradurre in danza quei vizi inscritti nell’animo umano, letti alla luce del nostro tempo, hanno risposto Aszure Barton, Sidi Larbi Cherkaoui, Sharon Eyal, Marco Goecke, Marcos Morau, Hofesh Shechter e Sasha Waltz: opportunità ghiotta per gli appassionati di danza poter vedere sullo stesso palcoscenico una varietà di linguaggi coreografici.

Sono composizioni elaborate in maniera astratta, più didascalica, o simbolica o evocativa, secondo quella libertà creativa che ha ispirato i diversi coreografi. Sul disegno geometrico come sfondo, formato da sette punti che uniscono altrettanti angoli – unica scenografia assurta a simbolo –, l’affresco si apre con “Greed”, l’avidità quale forza trainante del dio denaro secondo il belga-marocchino Sidi Larbi Cherkaoui che mette in scena nove danzatori in abiti da manager disegnati di banconote – tasche e foulard –, dai movimenti sinuosi e sempre più aggressivi, che cercano di accaparrarsi l’oggetto bramato trasformato infine in carta che brucia e lascia solo il fumo. La voce fuori campo che aggiunge pensieri filosofici si rivela non necessaria per dire quello che già la danza mostra.

The Seven Sins
Dallo spettacolo “The seven sins” della Grauthier Dance, la coreografia “Pride”, l’orgoglio, di Marcos Morau. (Foto di Jeanette Bak)

Sulla musica di Craig Taborn, il duetto della canadese Aszure Barton, “Sloth”, il pezzo più bello e originale, ruota attorno all’accidia che i due performer in nero si contagiano a vicenda, un torpore che blocca i loro continui movimenti con un’attrazione a terra, senza via d’uscita. “Pride”, l’orgoglio, dello spagnolo Marcos Morau è rappresentato da cinque donne in lunghi abiti blu, annunciate dal suono percussivo di tamburi – musica di Juan Cristobal Saavedra –, che si muovono all’unisono, sorta di beghine altezzose dai movimenti affilati e le bocche spalancate, piegate a terra sotto una luce al neon, agguerrite e scattanti. Anche combattive, ed eleganti nei movimenti, le tre donne slanciate dell’israeliana Sharon Eyal per l’invidia. Envy le vede in una sequenza ritmata da passettini in mezze punte, movimenti minimi e variazioni, alternarsi sfidandosi in coppie contrapposte che si formano escludendo la terza figura.

The Seven Sins
Dallo spettacolo “The seven sins” della Gauthier Dance, la coreografia “Lussuria” di Hofesh Shechter (Foto di Jeanette Bak)

A metà tra una danza tribale e una di più raffinata pulsazione è la lussuria secondo l’anglo-israeliano Hofesh Shechter. Dieci danzatori biancovestiti scivolano con le mani sui loro stessi corpi, alzano le braccia, si muovono sinuosi al ralenti, si contorcono, ed esplodono in un turbinio ritmato bloccandosi in un finale con le gambe aperte. Marco Goecke, con quella riconoscibile gestualità nervosa e rapida, crea, sulla musica di The Velvet Underground e Jesse Callaert, un bruciante assolo Gluttony, interpretato dall’eccellente Luca Pannacci, pensando alla golosità non del cibo ma della droga che attanaglia la persona, fino allo stordimento col suono assordante della chitarra elettrica. Calato in una realtà più riconoscibile è il duetto Wrath della tedesca Sasha Waltz che non tradisce la sua fama di icona di un teatro-danza espressivo e fortemente fisico mettendo in scena una coppia rabbiosa, urlante, con corse violente verso il partner indifferente – e con inversioni delle parti – per afferrarlo a sé, ai piedi e sulle spalle. Brevi lampi nel buio e luci stroboscopiche servono a spostarli da un punto all’altro, e ad accrescere la tensione.

Forse nell’operazione di Gauthier manca un forte collante fra le sette coreografie, un elemento che renda drammaturgicamente compatto lo spettacolo, che comunque funziona. E vale la pena riportare le parole dello stesso Gauthier nelle note di regia nelle quali esplicita il senso profondo dell’operazione: «Ma pensiamo davvero ancora in categorie come lussuria e golosità oggi? Tali vizi non sono scomparsi dalle nostre (colpevoli) coscienze insieme a queste parole antiquate? Alcuni dei cosiddetti peccati ora paiono avere una connotazione positiva. Ci sentiamo giustificati orgogliosi di ciò che abbiamo realizzato nelle nostre carriere. E l’avidità come motore del capitalismo non è diventata parte della nostra vita economica e quindi socialmente accettata?».

E aggiunge: «Quando buttiamo via tonnellate di cibo e ci concediamo dei lussi mentre milioni di persone muoiono di fame, cos’è se non la gola? Quando un’espressione di opinione si trasforma in insulto e poi in aggressività fisica, la chiamiamo perdita di controllo, ma sicuramente è qualcosa di simile all’ira. L’orgoglio è considerato il peggior peccato e la fonte di tutti gli altri peccati. Include l’egoismo di porre i propri desideri e bisogni al di sopra di quelli di altre persone e l’arroganza del potere che vediamo ogni giorno nei nostri rapporti l’uno con l’altro. I sette peccati non sono termini latini, tagli di legno antichi o parole tuonanti dal pulpito: li incontriamo ogni giorno».

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