Sette sguardi su Gaudi

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Fra le tante manifestazioni su Antonio Gaudì non poteva mancare una mostra fotografica. Delle opere del fantasioso architetto è stato già immortalato ogni dettaglio. Basti pensare alla Sagrada Familia, tuttora incompiuta e forse per questo ancor più espressiva nella sua inesauribile potenzialità. Ed è proprio questa potenzialità che la presente rassegna – dedicata peraltro alla sola architettura civile di Gaudì – coglie ed esalta: una creazione sulla creazione. L’occhio fotografico si posa sull’architettura. Ne isola un dettaglio, si sofferma nell’in- quadratura, esplora la forma, il colore, cerca le vibrazioni profonde. E scatta. Il risultato è una visione rinnovata e personale del soggetto. Una creazione a sé, appunto. Quando poi l’oggetto dell’immagine possiede un’anima, il fotografo, se è un artista, aiuta a scoprirla. Antonio Gaudì, geniale protagonista dello stile Liberty, autore di opere monumentali e raffinati dettagli, è stato – come spiega lo scrittore Oriol Pi de Cabanyes – «un creatore tellurico, attento sia al cielo che alle radici… Artefice di un realismo che si fa portavoce di una realtà “differente” rispetto a quella che si suole vedere con gli occhi della ragione o l’interesse materiale». Diceva lo stesso Gaudì al suo discepolo Martinell: «Noi mediterranei abbiamo degli occhi che non sono abituati ai fantasmi, ma solo alle immagini; noi siamo più immaginativi che fantasiosi e, pertanto, siamo particolarmente dotati per le arti visive». All’opera del celebre architetto di Barcellona, con grande libertà creativa ed estremo rigore, si sono ispirati sette fotografi contemporanei catalani, col risultato di restituircene la poesia, l’estetica, la fantasia e il misticismo. Anzi, esaltandone la genialità attraverso un’interpretazione originale del suo poliedrico universo artistico. Perché Gaudì non si limitava a progettare la parte strutturale di un edificio, ma ne inventava anche i minimi dettagli. Cancellate, balaustre, inferriate, maniglie, e quindi anche l’arredamento e il mobilio: tutto veniva inconfondibilmente creato da lui. Elementi che ritroviamo nelle immagini di Marc Llimargas coi suoi dettagli di vetrate e di angoli nascosti; o in quelle di Tony Catany che inquadra i pomi delle scale nella Casa Batllò e di Bellesguard. È il gioco delle forme, inve- ce, ad attrarre l’occhio di Humberto Rivas, tra le colonne di mattone lasciate a nudo del Parc Güell; mentre Rafael Vargas ci restituisce il movimento della sinuosa e serpeggiante Pedrera, la più nota e complessa fra le costruzioni ad uso civile, che rappresentò un radicale rifiuto della simmetria classica, giacché porte e finestre sono sistemate in modo eccentrico. Del grande edificio, Manel Armengol isola invece,con un effetto sgranato e notturno, i comignoli; gli stessi che vengono trasfigurati in imponenti guerrieri nelle fotografie in bianco e nero di Leopold Pomés.Mentre, nel taglio quadrato, quadrato, anch’esso in bianco e nero, di Manel Esclusa, i dettagli architettonici sono deformati e diventano quadri astratti fluttuanti nel vuoto. Questi sette sguardi inediti coi loro scatti “pittorici” e “surreali”, aggiungono un’ulteriore pulsazione vitalistica all’opera di Gaudì: sprigionano un mondo interiore che rinvia a infiniti stati d’animo, anche alla potenzialità di quelli che nessun fotografo ha ancora fissato. Giuseppe Distefano Antonio Gaudì: una visione poliedrica. Roma, Istituto Cervantes, fino al 3/2. A Milano, Istituto Cervantes, dal 6/3 al 12/4. Zsolnay: liberty In versione ungherese Dalla catalogna di gaudì alle colline della baranya Ungherese, il passo non è poi così lungo, a giudicare dalla fioritura, Questa volta di ceramiche, in mostra a roma negli Stessi giorni, nelle sale borrominiane dell’accademia magiara. Si tratta dei vasi della manifattura zsolnay di pécs, che Dalla seconda metà dell’ottocento iniziò Una produzione divenuta famosa Quando, con l’avvento del liberty, aggiunse Al vasellame le terrecotte e gli Smalti per la decorazione delle facciate. Il nuovo stile ne faceva grande uso, e Architetti famosi come ödön lechner stabilirono con Zsolnay un sodalizio fruttuoso che arricchì di luccicanti colori le capitali danubiane. Già alle esposizioni internazionali di Milano del 1906 e di Torino del 1902 e del 1911, queste opere furono presentate nel padiglione magiaro e si fecero conoscere in Italia. E ancora oggi, da quanto esposto nella rassegna romana, ci si può render conto del posto che la manifattura ceramica di Zsolnay occupò nel rinnovamento artistico europeo che caratterizzò l’inizio del secolo scorso.

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