Il senso e il destino della libertà

Dire che «tutto è grazia» – come abbiamo fatto la volta scorsa – o, meglio, fare almeno un po’ questa esperienza e, da dentro di essa, sviscerare l’intelligenza della realtà, significa dire che «tutto è libertà» o – come amava esprimersi il filosofo Luigi Pareyson – che di una cosa soltanto non sono libero: di non essere libero!

Dire che «tutto è grazia» – come abbiamo fatto la volta scorsa – o, meglio, fare almeno un po’ questa esperienza e, da dentro di essa, sviscerare l’intelligenza della realtà, significa dire che «tutto è libertà» o – come amava esprimersi il filosofo Luigi Pareyson – che di una cosa soltanto non sono libero: di non essere libero!

Il che non significa né che tutta la realtà, ai suoi diversi livelli di realizzazione e nei diversi approcci di lettura che essi richiedono, vada compresa nei termini della libertà che si attribuisce in forma singolare a Dio e all’uomo. Né, d’altra parte, che la libertà vada intesa nei termini assoluti – e cioè sganciati da ogni relazione – di ciò che è arbitrario.

Il fatto, piuttosto, è che l’esperienza di libertà che si dischiude entro l’orizzonte di verità che prende il nome di grazia, conosce una precisa declinazione.

La libertà con cui si ha qui a che fare non è solo l’autodeterminazione come possibilità di scelta tra una cosa o l’altra, ma è l’espressione sintetica dell’umano: sia nel suo essere garantito e fondato dalla e nella grazia di Dio, o meglio ancora, dal Dio che è Grazia, Dono-di-sé e, dunque, Egli stesso libertà; sia nel suo compiuto realizzarsi, appunto, in quanto libertà graziata che a sua volta s’esprime nel dono-di-sé.

In altri termini: l’esperienza e l’intelligenza dell’orizzonte di verità della grazia esigono e propiziano l’esperienza e l’intelligenza della libertà. Sia di Dio sia dell’uomo.

Se, infatti, la cifra d’interpretazione del senso della realtà è la grazia, la libertà ne risulta insieme la condizione di possibilità e la concreta realizzazione. Non c’è grazia senza libertà. Così come non c’è libertà senza grazia.

Non a caso, il primo tra i grandi teologi cristiani, Ireneo di Lione, nel II secolo dopo Cristo, tutto impregnato com’è dello Spirito che si sprigiona dall’evento di Gesù, non solo sottolinea che quello di Gesù è «il Vangelo della libertà», ma azzarda un’affermazione come questa: «Dio da Se stesso, in libertà, ha fatto e ordinato tutte le cose, anzi la sua libertà è la sostanza da cui Egli ha tratto ogni cosa».

Affermazione che, nel contesto del suo pensiero, va intesa nel senso della corrispondenza tra la libertà inscritta nell’amore di Dio e la libertà inscritta nella vocazione dell’uomo e del cosmo in lui. Mi sia permessa una duplice notazione, puntando appunto lo sguardo sull’evento di Gesù.

Da un lato esso registra, senza edulcorazioni, la drammatica tensione tra la libertà di Gesù e ciò che vuole Dio, l’Abbà, nel noto episodio del Getsemani.

Mostra così l’angoscia mortale di Gesù nell’aderire alla volontà del Padre, e dunque la misura estrema e rischiosa della sua libertà chiamata a conformarsi non a una cieca ineluttabilità, ma al “caro prezzo” della grazia, e cioè del dono e del per-dono di Dio come alfa e omega del senso e del destino della libertà. L’angoscia di Gesù esprime la sfida estrema che la sua libertà accoglie nel conformarsi a che cosa? Alla libertà di Dio: che s’esprime sino in fondo nel dono e nel per-dono.

D’altro lato, il Nuovo Testamento riporta un discorso di Gesù in cui è illuminato il significato del dramma di libertà che fa da sfondo alla sua passione e morte. In esso, la libertà è illustrata come espressione paradossale della ex-ousía di Gesù (letteralmente: ciò che proviene dalla sostanza del suo essere, tradotto generalmente con “potere”): «Per questo il Padre mi ama: perché dono la mia vita, per riprenderla a nuovo. Nessuno me la toglie, ma la dono da me stesso, poiché ho l’ex-ousía di darla e l’ex-ousía di riprenderla a nuovo» (Gv 10,17-18).

Si fa qui evidente che la libertà di Gesù è tale, e cioè si realizza in corrispondenza all’amore del Padre, in quel dono-di-sé che è insieme il per-dono in cui Dio, in Lui, ricapitola per pura grazia il destino di tutta la realtà.

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