Semplicemente rinascere

Wolfgang Laib in mostra a Torino. Un'arte che punta all'interiorità. Per nutrirla ed elevarla.

In un tempo in cui tutto scorre veloce e l’appagamento su ogni versante deve essere immediato e a basso costo, l’arte di Laib concede un riscatto. La sua nuova personale dice pace, restituendoci l’universo mistico dell’artista con pochi e semplici ingredienti naturali: tutto il pavimento dello spazio espositivo è coperto da file ordinate di mucchietti di riso (due manciate ciascuno) fra cui si innesta una linea di nove mucchietti di brillantissimo polline giallo. Tutta in cera d’api è invece l’altissima piramide a gradoni, una ziggurat che arriva a toccare il soffitto. Il valore di questi materiali? Ce lo spiega lo stesso artista: «Il polline rimanda all’inizio della creazione, le montagne di riso al nutrimento e lo ziggurat al legame del cielo con la terra».

È evidente che una tale scelta di materiali e di significati non si spiega se non con lo stretto legame che l’artista ha intessuto con l’India e la filosofia vedica. Infatti, è proprio il profondo sud dell’India la sua “casa spirituale”; vi soggiorna ogni anno per un certo periodo; studia la lingua indiana, il sanscrito, l’hindi e il tamil; lavora per il Gandhigram, centro di divulgazione del pensiero di Gandhi, paladino della non-violenza. Si capisce come la sua arte appaia inzuppata in una cultura “altra” rispetto a quella occidentale; contenuti, materiali e forme rimandano alla sua personale esperienza legata al misticismo e alla spiritualità orientale. Un’esperienza lontana dal turismo modaiolo o dalla “fuga dalla realtà”.

 

La spiritualità fluisce in modo naturale dall’India al sud della Germania dove Laib, con fare paziente e meditativo, raccoglie polline di pino, di dente di leone e di nocciola dalle piante attorno alla propria abitazione. La lunga operazione dura anche diverse settimane senza interruzione e assume una valenza rituale e propiziatoria strettamente legata all’opera in cui questi pollini verranno impiegati.

La spiritualità fluisce e circola anche nel dialogo con le opere di Mario Merz; i due si incontrarono nel 1987 per il grande evento artistico di “Documenta”. Merz partecipò con un suo tavolo a spirale e invitò il giovane Laib ad esporvi sopra un vaso di polline. Era comune il legame con la natura, l’attenzione al ciclo vitale che Merz esprimeva in quella spirale in cui “tutto passa e tutto torna” e Laib in quel purissimo polline il cui potere fecondativo viene rivolto alla mente e all’animo umano. Merz è mancato da qualche anno, ma quell’incontro rivive oggi con la personale di Laib alla omonima Fondazione. Il dialogo fra le opere dei due spalanca gli orizzonti in maniera forte e consapevole. Lo afferma lo stesso Laib poco prima dell’inaugurazione: «Sarà molto più di un’esposizione con diversi oggetti e lavori, non una mostra per un artista individuale, ma riguarderà il mondo, l’universo e anche la nostra propria esistenza». La percezione estetica diventa fatto spirituale ed esistenziale.

 

In questa prospettiva si spiega l’insolita conclusione dell’evento che dal primo al sei giugno vedrà quarantacinque bramini, provenienti da uno dei più importanti templi del sud dell’India, officiare il millenario “rito del fuoco”. È la prima volta che questo rituale viene celebrato in Italia. È ancora l’artista ad offrirci la chiave di lettura di una simile scelta e il suo stretto legame con le opere in mostra: «È un rito mahayana, una cerimonia vedica che si tramanda immutata da millenni e che ha le sue radici nella cultura vedica indù; ma al tempo stesso la trascende, poiché si celebra per il benessere del mondo intero e di tutti gli esseri viventi. Si brucia il mondo materiale, simboleggiato dai vari tipi di cibo, riso, lenticchie, burro, frutta, verdura, fiori e latte, insieme a pezzi di stoffa, vestiti, erbe e piante medicinali. Si tratta di rinuncia e di rinascita, della nascita di un qualcosa di nuovo e di completamente differente». Ci è dato di intuire che l’esperienza di rinuncia e rinascita, morte e nuova vita che Laib ci propone in tutto il suo splendore sia stata prima vissuta personalmente dall’artista. Solo così si dà ragione di quest’arte tanto vera, sincera, davvero “completamente differente”.

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