Semi di pace tra Palestina e Israele

Registi, docenti universitari, professionisti, gente che nella loro quotidianità e sulla propria pelle prova ad aprire varchi tra i due Paesi
Ebrei e cristiani

«E’ un argomento che coinvolge sempre l’auditorio e l’opinione pubblica ma non tanto quanto prima», sostiene il senatore Vincenzo Vita, presidente dell’Associazione Italia-Palestina . Parliamo della situazione in Israele e nei Territori Occupati che lo scorso martedì, nella sala stampa della Camera dei deputati è stata presentata non come un conflitto, come siamo abituati a sentirne parlare, ma come una speranza di pace.

 

“Semi di pace” è un’iniziativa alla sua XIII edizione, promossa dalla rivista Confronti, e che porta in Italia per una settimana una delegazione composta da membri israeliani e palestinesi. Gente comune, professionisti, lavoratori, persone che vivono nella loro quotidianità e sulla loro pelle l’impegno per la pace. Quest’anno la delegazione è composta da otto persone: due psicoterapeuti, due musicisti, due membri del Parents’ Circle – organizzazione che riunisce i familiari delle vittime israeliane e palestinesi – e due personalità legate al mondo del cinema.

 

“Credo che un uomo solo possa cambiare il mondo e, se una sola persona può farlo, allora ognuno di voi può e non bisogna stare in silenzio”, ha esordito l’attore e regista Mohammed Bakri parlando apertamente anche dei fatti di politica contemporanea come la situazione attuale in Libia. E nella sua vita, Mohammed non è stato davvero in silenzio. Regista del documentario Jenin Jenin, realizzato in seguito all’Operazione scudo difensivo dell’aprile del 2002 nella quale le forze israeliane hanno invaso il campo profughi di Jenin, il regista è sotto processo da anni e dovrà comparire davanti alla Corte Suprema fra 10 giorni in seguito alle denunce che sono state avanzate contro di lui per i contenuti del suo film.

 

Asher Salah invece è un ebreo israeliano nato in Italia. “Io non sono un operatore di pace, sono solo un docente universitario” ha tenuto a specificare. Tuttavia, Asher collabora a progetti che cercano di far “familiarizzare” la parte israeliana con quella palestinese e viceversa, in un quadrato di terra dove entrambe si ritrovano a vivere e dove abitare l’uno a fianco dell’altro ignorandosi porta frutti non solo negativi ma anche pericolosi.

 

Nimrod e Khaldun sono, ad occhio, i più giovani del gruppo. Nimrod suona il pianoforte e Khaldun canta. Si sono conosciuti durante un progetto in Svezia che ha riunito per una settimana e mezzo musicisti israeliani e palestinesi. “Dopo uno o due giorni già sentivamo all’interno del gruppo di essere amici – ha ricordato Nimrod che è dovuto andare in Svezia per ascoltare per la prima volta la musica araba –. Se questo è potuto accadere, vuol dire che questo conflitto non è il nostro”.

Nella delegazione sono presenti anche due psicoterapeuti, Rony Berger e Mostafa Qossoqsi che nelle loro vite hanno deciso di svolgere il proprio mestiere sia da una parte che dall’altra dei rispettivi confini nazionali. “Tutti hanno un retaggio del trauma per il solo fatto di essere nati e vissuti qui [in Israele e nei Territori Occupati, ndr] e la violenza è una conseguenza del trauma – spiega Mostafa – tuttavia il dolore può sì dividere ma anche unire”.

 

Se per qualcuno quelle di Mostafa possono suonare parole come tante altre, non è così per i membri del  Parents’ Circle. All’interno di questo gruppo troviamo uomini e donne che ben conoscono il valore della sofferenza e che sanno come dalla morte di una persona cara possa scaturire non una logica di vendetta ma il desiderio di lavorare per il bene e per la pace. Seham Ikhlayel, unica donna della delegazione, ha perso sua madre e suo fratello nel conflitto eppure oggi ripete: “La riconciliazione fra noi è possibile e nessun governo può fermarla”. Yuval Roth ha perso suo fratello e racconta l’impegno del Parents’ Circle come la maniera migliore per apportare qualche cambiamento nella società.

Nei prossimi giorni la delegazione proseguirà il giro dell’Italia dividendosi in coppie e tenendo incontri presso associazioni e varie realtà locali. I semi di pace non hanno bisogno di essere seminati solo in Israele e nei Territori Occupati. Anche la nostra Italia aspetta.

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