Sea Watch: cosa dice il diritto?

Sul caso della nave approdata a Lampedusa dopo 17 giorni in mare è in corso una diatriba giudiziaria. I dubbi sui capi di imputazione alla capitana Carola Rackete.

La vicenda si sposta sul piano giudiziario: oggi l’udienza di convalida dell’arresto della comandante della Sea Watch 3, Carola Rackete. I reati contestati dal procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio e formalizzati dal pm Gloria Andreoli sono «rifiuto di obbedienza a nave da guerra, resistenza o violenza contro nave da guerra e navigazione in zone vietate».

Carola Rackete si trova agli arresti domiciliari in un’abitazione della provincia di Agrigento che lei stessa ha indicato. Se l’arresto non dovesse essere convalidato, o se il Gip dovesse comunque decidere la scarcerazione, la procura potrebbe chiedere il divieto di dimora in provincia di Agrigento. Ma il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha in serbo un’altra cartuccia: la possibilità di decidere l’espulsione della trentunenne capitana della Sea Watch.

Sui reati contestati a Carola Rackete si accende una diatriba giudiziaria. È la prima applicazione di peso del “decreto sicurezza bis” approvato 20 giorni fa dal Parlamento. Molti i dubbi. Il legale della giovane comandante tedesca ha contestato i capi di imputazione. A suo parere, la motovedetta della Guardia di Finanza si è infilata nel ristretto spazio di manovra durante la fase di attracco: una manovra che tutte le leggi del mare vietano. Impedire o ostacolare l’attracco non è consentito. La Sea Watch era già entrata nel porto e stava per attraccare. Se i finanzieri non si fossero frapposti non sarebbe successo nulla.

Le fasi dell’attracco e del cosiddetto “speronamento” (in realtà le due imbarcazioni si sono solo toccate) saranno comunque al centro di un eventuale processo e anche la Guardia di Finanza dovrà spiegare come si sono svolti i fatti. Carola Rackete, comunque, ha chiesto scusa alla Guardia di Finanza per non essere riuscita ad evitare il contatto. Ma gli spazi di manovra erano limitatissimi ed una nave ha tempi di reazione e margini di manovra più limitati rispetto alle più veloci motovedette.

Altro interrogativo: la motovedetta della Guardia di Finanza può essere considerata una nave da guerra? No, secondo alcuni, mentre altri condividono la tesi portata avanti dal procuratore Luigi Patronaggio e sostenuta da Salvini. Anche qui, una diatriba giuridica, con tesi opposte, che chiama in causa anche la Corte Costituzionale. Un particolare: Patronaggio è lo stesso pm attaccato a più riprese da Salvini, quando venne indagato per il caso della nave Diciotti. A quel tempo, non era certo tra i favori del ministro che non risparmiò dure critiche. Cosa che, ovviamente, non avviene adesso.

Il nuovo decreto sicurezza amplia a dismisura i poteri del ministro dell’Interno, che prima non ne aveva in materia. E infatti i primi provvedimenti di Salvini avevano “invaso” il campo dei colleghi della Difesa e dei Trasporti, soprattutto di quest’ultimo. Ma Danilo Toninelli ha assunto, in questi mesi, un ruolo defilato, lasciando ampio spazio al collega del Viminale. Che ora, con un nuovo strumento legislativo in mano, quei poteri se li è presi e li sta esercitando, stavolta senza che nessuno possa dir nulla sulle sue competenze.

I dubbi, semmai, sono sulla costituzionalità del decreto, sui cui più d’uno ha sollevato dubbi. Si dovrà esprimere la Corte Costituzionale. Intanto il decreto resta in vigore. Ma pur se in vigore – producendo, legittimamente, i suoi effetti – la norma italiana pone molti interrogativi anche sotto il profilo della congruità e della concordanza con le norme internazionali. Il Diritto internazionale e il codice della navigazione impongono l’obbligo del salvataggio in mare. Per tutti ed in qualunque condizione (eccezion fatta per le situazioni nelle quali da questo dovesse derivare una ulteriore situazione di pericolo).

Il decreto sicurezza prevede di «limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale» per «motivi di ordine e sicurezza pubblica» (articolo 1), con una sanzione in caso di inottemperanza (articolo 2). L’obiettivo è colpire le Ong e opporre ad esse le nuove leggi italiane sull’immigrazione.

Tra le voci critiche, quella di Irini Papanicolopulu, dell’Università di Bicocca di Milano, che li ha espressamente palesati su sidigimare.wordpress.com: «La legittimità della misura può essere valutata da vari settori tra cui il diritto costituzionale, il diritto amministrativo, il diritto dei diritti umani (anche internazionali) e il diritto del mare». La docente ha espresso seri dubbi, da un punto di vista normativo, rilevando come queste misure siano poco compatibili «con gli obblighi gravanti sull’Italia in quanto Stato partecipante alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (CNUDM) e ad altri trattati».

Papanicolupuli rileva, tra l’altro, che «l’ingresso di una nave che trasporta persone soccorse in mare in adempimento dell’obbligo internazionale di salvare la vita umana in mare non può considerarsi come attività compiuta in violazione delle leggi nazionali sull’immigrazione, a condizione che l’obiettivo della nave sia semplicemente quello di far sbarcare le persone soccorse. […] Tale obbligo richiede al comandante di assistere le persone in pericolo e di condurle in un luogo sicuro. In altri termini, la fattispecie del salvataggio in mare continua fino a quando il comandante non abbia fatto sbarcare le persone in luogo sicuro, e il suo ingresso nel mare territoriale e nei porti di uno Stato non può essere visto sotto luce diversa. Non si può quindi precludere il passaggio inoffensivo ad una nave che ha soccorso persone in pericolo, anche al di fuori del mare territoriale, qualora questa intenda entrare al fine di perfezionare il proprio obbligo di salvare la vita umana in mare».

La questione giuridica tocca vari aspetti, che saranno oggetto di valutazioni destinate a durare molti mesi. E, di certo, essi avranno una ricaduta non indifferente anche per ciò che attiene il futuro e qualunque tentativo gli Stati (l’Italia, o altri) volessero attuare in futuro. Nel frattempo essi entreranno a pieno titolo nel procedimento giudiziario in corso. Il Tribunale di Agrigento sarà sotto i riflettori.

L’aspetto giuridico tocca anche le vicende successive. Si è conclusa nella notte la vicenda degli altri 56 migranti intercettati dalla Ong Open Arms in acque territoriali italiane. La Ong spagnola ha avvisato la Guardia di Finanza e la Guardia Costiera. I migranti sono stati prelevati. Undici sono stati sbarcati a Lampedusa. Poi se ne sono aggiunti altri, sempre per motivi di salute. Gli altri 42 sono approdati poco dopo mezzanotte a Pozzallo. Stavolta, due scafisti sono stati fermati. Pare che i migranti abbiano pagato ciascuno 1.000 euro per il viaggio in mare. Ma gli immigrati, stavolta, sono arrivati sulla terraferma senza il calvario di 17 giorni in mare. Di loro si occuperà la Prefettura. Per loro, così come per le centinaia arrivati nelle ultime settimane in Italia, non ci sarà bisogno di nessun riparto internazionale. Destino diverso, rispetto a quelli della Sea Watch. Perché?

 

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