Scudetto Real Madrid, Ancelotti campione in cinque nazioni

Con la conquista della Liga spagnola sulla panchina del Real Madrid dell’ultimo fine settimana, Carlo Ancelotti è diventato l’unico allenatore della storia ad avere vinto nei principali cinque campionati europei.
(AP Photo/Bernat Armangue)

Re Carletto scrive la storia. Fino a che qualcuno non insidierà il suo record, Carlo Ancelotti sarà l’unico allenatore al mondo ad avere ad avere vinto nei principali cinque campionati europei. Ha vinto con il Real Madrid. Lo ha fatto in Italia con il Milan, in Inghilterra allenando il Chelsea, in Francia con il Paris Saint-Germain e in Germania seduto sulla panchina del Bayern Monaco. Legittimo vederlo “regnare” anche nel balletto con i brasiliani Vinícius Júnior ed Éder Militão, protagonisti del titolo, in alcuni video già virali.

(AP Photo/Bernat Armangue)

Il mago di Reggiolo
Nato a Reggiolo (Emilia Romagna) il 10 giugno 1959, Carletto inizia la sua carriera da calciatore professionista nel Parma, in Serie C. Trasferitosi alla Roma nell’estate del 1979, esordisce in A il 16 settembre dello stesso anno contro il Milan: con i giallorossi conquista uno Scudetto e ben quattro Coppe Italia, prima di approdare proprio in rossonero, amore sportivo di una vita. Con Arrigo Sacchi in panchina vince infatti praticamente tutto, sia in Italia che in Europa, senza dimenticare il campionato 1991-1992 con Fabio Capello alla nuova guida della formazione milanista. Appesi gli scarpini al chiodo, inizia la carriera di allenatore come vice di Sacchi nella Nazionale azzurra, approdando fino alla finale di Coppa del mondo che ci vide piangere insieme a Roberto Baggio perdendo solo ai rigori con il Brasile a Pasadena, nell’Estate ’94.

Al 1995 approda alla Reggiana, in Serie B, quale trampolino di lancio di un percorso straordinario che lo vedrà sulle panchine di Parma, Juventus, Milan, Chelsea, Paris Saint-Germain, Real Madrid, Bayern Monaco e Napoli. Insomma, Il meglio del calcio mondiale. Tra i nei, forse proprio l’avventura a Napoli, dove il rapporto si conclude in maniera inaspettata perché lo spogliatoio si spacca in polemica con la dirigenza e i giocatori non seguono più il tecnico, sollevato dal suo incarico e sostituito in panchina da Rino Gattuso. Approdato al “piccolo” Everton oltre Manica, nell’estate 2021, si era accordato un anno dopo e fino al 2024 con il Real Madrid, dopo l’esperienza già vissuta dal 2013 al 2015, rinunciando così a oltre 40 milioni di sterline britanniche.

Il sopracciglio più famoso del mondo dello sport
Uomo di rara pacatezza e senso dell’ironia, Carlo Ancelotti ha sempre sfoggiato un aplomb degno dei migliori signori del calcio. Mai sopra le righe, mai fuori controllo, ma soprattutto poco protagonista e sempre in grado di sfruttare al meglio le potenzialità dei suoi giocatori per decenni, nonostante le continue evoluzioni tecnico-tattiche del calcio moderno. Tra i tratti distintivi dell’allenatore, il mitico sopracciglio più o meno alzato a seconda dell’umore, unico vero termometro visibile del suo stato d’animo. «Il sopracciglio? Non so nemmeno io i movimenti che fa, a volte riguardandomi in tv mi sorprendo anch’io ma una cosa la escludo: non è stato per un incidente in Vespa», spiegò a Monaco di Baviera.

(AP Photo/Paul White)

«Un maiale non può allenare»
Tra gli allenatori più ricchi ovviamente al mondo per meriti ineguagliabili sul campo, Carlo Ancelotti è, a parte rari casi, sempre riuscito a stabilire un ottimo rapporto con i suoi calciatori, come raccontato tra aneddoti vari in dettagli anche nel suo ultimo libro, “Il leader calmo”. «Un leader non dovrebbe mai aver bisogno di usare il pugno di ferro. L’autorità dovrebbe essere il risultato della stima e della fiducia», sostiene il tecnico in quella che è la sua terza fatica letteraria.

Non si contano le sue variazioni tattiche, a testimonianza di enorme competenza e versatilità. Indimenticabile, tra le tante, l’invenzione del cosiddetto “albero di natale” al Milan, quando “scandalizzò” i difensivisti italiani schierando contemporaneamente in campo Pirlo, Seedorf, Rui Kakà, Shevchenko e Inzaghi, ma anche Rivaldo e Rui Costa tra prima, durante e dopo… Una tattica che fece storia nella storia, segnata da quel «se il pallone lo abbiamo noi e non ce lo prendono, perché dovremmo pensare così tanto a difenderci…» e con la quale vinse Scudetto, Coppa Italia, Supercoppa Italiana, due Champions League, due Supercoppe Europee e un Mondiale per Club. Perché se sembra facile vincere con spogliatoi zeppi di campioni, basta leggere ogni anno i fallimenti di squadre assemblate a suon di milioni: non ultimo quest’anno, ad esempio, il PSG degli sceicchi.

La resilienza del leader calmo
Si sarà forse fatto qualche domanda in più qualche tifoso tanto lungimirante quanto delicato capace di accoglierlo a Piacenza con un memorabile striscione recitante “un maiale non può allenare” (poi diventato il titolo di un altro suo libro), firmato dai tifosi juventini giusto un anno prima dell’inizio di quel suo mitico “kolossal” ventennale vincente: erano i tempi in cui la Juventus di Carletto, a ridosso del 2000, vedeva naufragare i suoi sogni di gloria, prima all’ultima giornata sul prato zuppo del Curi di Perugia, quando il gol di Calori regalava lo scudetto alla Lazio, poi a Torino, quando Nakata e Montella salvarono la Roma di Totti e Batistuta che avrebbe poi trionfato in campionato. «Non ha mai vinto niente», dicevano; «È raccomandato»; «Arriva al massimo secondo», si affrettarono tanti in quei suoi primi anni da allenatore ad affermare. Persino «obbedisce al padrone. Auguri» scrisse il maestro Gianni Mura. Forse, bastava aspettare qualche anno, per vedere quel “perdente” trionfare su tutti i più vincenti.

Congratulazioni Carletto e, se puoi, perdonali: non sapevano quello che dicevano e scrivevano.

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