Scoperte e riscoperte nella musica

A Roma Evgeny Kissin riscopre Rachmaninoff e l’Opera apre la stagione con il Mefistofele di Boito.
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All’Accademia Santa Cecilia.

Kissin lo conosciamo da quando giovanissimo esplose con un talento spettacolare. Ora ha 52 anni, grande chioma, voce robusta e passo tranquillo, sicuro.  Così tanto che affrontando un brano fin troppo popolare, sfruttato dal cinema e dai media ancora oggi, come il Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra di Sergej Rachmaninoff del 1909 si potrebbe pensare ad una interpretazione di routine, per quanto alta.

Invece, Evgeny è cresciuto, eccome. Il primo tempo, così bello nel suo accordo iniziale (Allegro non tanto) tra i respiri degli archi, vola nelle variazioni e qui la   tastiera di Kissin fa uscire suoni nuovi, impensati, anche sferzanti e duri. Così nell’Adagio e nel Finale immenso Evgeny organizza una tempesta di suoni, ma forte,anche terribile che spegne il post-romanticismo iniziale in una sorta di vulcano conclusivo.  Un Rachmaninoff riscoperto grazie anche all’orchestra guidata da un direttore sensibilissimo e chiaro come Gianandrea Noseda che poi presenterà la Prima Sinfonia di Ciaikowskij densa già di umor nero.  Pubblico sbalordito davanti a tanta bellezza.

Teatro dell’Opera

Apre la stagione con una scoperta, cioè il Mefistofle, versi e musica di Arrigo Boito, anno 1875. Dal Faust di Goethe, tramite la mediazione di un musicista e letterato coltissimo, uno “scapigliato” amante di Wagner e all’epoca non di Verdi, verseggiatore prezioso di situazioni estreme, orrore e cielo, amore e morte, Dio e satana in un prologo, quattro atti ed un epilogo: un’operona della lotta tra  bene e male, di cui farà le spese l’innocente Margherita (che poi si salva).

A Roma il lavoro torna  dopo 13 anni ed è guidato per la prima volta da Michele Mariotti. Grande direzione, attentissima ai dettagli e ai colori, alla dinamica e a quel far cantare l’orchestra sempre, che pare uno specifico di Mariotti.  Così arie, duetti, cori – le “forme chiuse” resistono ancora con gli echi di Verdi e Rossini, nonostante i leitmotiv wagneriani -, si susseguono con musicalità comunicativa,  una vera bellezza, come  nello stupendo momento dell’aria sopranile “L’altra notte in fondo al mare” accompagnata con vero amore dall’orchestra in una scena azzurra. Il cast risulta perciò apprezzabile, tutto, il primo luogo il basso John Relyea per voce e capacità attoriale in un’opera dove sono i recitativi in particolare a guardare al futuro.

Discussa la regia di Simon Stone che tra scene candide, giostre e clown, ambulatori e cliniche psichiatriche nonché sedute celestiali – tutto molto “americano” -, sembra talvolta non in sintonia con la musica e i versi che forse sono da approfondire. Perché di musica bella ce n’è e quanta. Mariotti, il cast e il coro ce l’hanno fatta scoprire. Da riproporre.

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